Di seguito il testo dell’audizione della Cisl Puglia dello scorso 15 marzo relativamente al ddl n.253 del 14/11/2017 “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”.
Nel merito del DDL in questione si ritiene preliminarmente opportuno osservare come le norme che si vogliono dettare sulla specifica materia, a giudizio della scrivente, vadano ben oltre la potestà legislativa regionale.
Nel caso di specie, da un esame delle norme del precitato ddl, emergerebbe un quadro normativo che mostra elementi di incertezza intervenendo su aspetti demandati alla competenza esclusiva dello Stato. In particolare, con il ddl in esame si interviene sui c.d. “principi fondamentali” rispetto ai quali non può intervenire da parte delle Regioni alcuna normativa concorrente. Diversi sono gli articoli del ddl che entrerebbero in contrasto con norme costituzionali e leggi statali, che si ispirano appunto ai cosiddetti “principi fondamentali”.
Ad esempio:
1. All’articolo 3 del ddl in questione (che tratta di Istruzione) si interviene nella specifica competenza statale, la quale con riferimento all’art.137 del D.Lvo n.112/98, satuisce che “restano allo Stato i compiti e le funzioni concernenti i
criteri e i parametri per l’organizzazione della rete scolastica”. Oltre che ad apparire in evidente contrasto con il principio fondamentale contenuto nell’art.3 del DPR n.235/2007, che disciplina il “Patto educativo di corresponsabilità”, il quale a riguardo recita: “….è richiesta da parte dei genitori e degli studenti la sottoscrizione di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire diritti e doveri nel rapporto tra l’istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”. Ai sensi delle richiamate discipline statali le norme degli articoli 1 e 2 del DDL non possono essere estese, così come si vorrebbe anche nei confronti dei genitori degli studenti.
Occorre, peraltro, far presente sull’argomento che il principio della non discriminazione è ampiamente contemplato nelle norme del DPR n. 249/1998, che definisce lo “Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria”. Tanto considerato, non può prevedersi, come previsto all’art.3 del ddl in oggetto, ipotesi di attività che integrano o modificano quanto già previsto dalla citata disciplina statale e da quanto è proprio dell’autonoma “convinzione” dei genitori in concerto con gli studenti e i singoli istituti scolastici nell’attuazione del cosiddetto “Patto di Corresponsabilità”.
2. Proprio a proposito si richiama quanto viene indicato nelle “Linee Guida” del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, relativamente all’attuazione della specifica disciplina di cui all’art.1, comma 16 della Legge n.107/2015 che recita: “ Il piano triennale dell’ offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’ educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori”. Le Linee Guida così chiariscono che: “Nell’ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire, fondamentale aspetto riveste l’educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione e la promozione ad ogni
livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione. Si ribadisce, quindi, che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né le “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo”.
Le Linee Guida, nel rilevare, tra l’altro, la rilevanza del “Patto Educativo di Corresponsabilità” tra genitori, studenti e scuola, rappresentano che : “è compito fondamentale affidato ai genitori il partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e formativo dei propri figli esercitando il diritto-dovere contemplato nell’ art. 30 della Costituzione.” e che “…le Famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano Triennale dell’Offerta Formativa”.
All’art. 6, comma 4, che affida alla Regione la possibilità di costituirsi “parte civile” nei procedimenti penali per reati commessi nei confronti delle persone a motivo del loro orientamento sessuale, identità di genere o condizione intersessuale, si palesa un confitto normativo con quanto previsto dall’art.117 della Cost., comma2, che attribuisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione e norme processuali. A tal proposito, si ritiene opportuno valutare anche quanto dettato dall’art. 74 del Codice di Procedura penale (legittimazione all’azione civile) che statuisce quanto segue: “L’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185 codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali nei confronti dell’imputato e del responsabile civile”. Nel corso degli anni la possibilità e la
legittimazione a costituirsi parte civile da parte di altri soggetti o categorie di soggetti è sempre intervenuta con disposizioni contenute in leggi statali. Di conseguenza le Regioni non possono attribuirsi motu propriu una tale
legittimazione.
3. All’art.7 si prevede l’istituzione di un “tavolo tecnico regionale” sulle discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere delle vittime, la cui composizione (con 6 rappresentanti
solo delle Associazioni LGBTI) esclude la partecipazione di altre Associazioni che si occupano di inclusione sociale e che contribuirebbero ad una valutazione equilibrata delle ipotesi di discriminazioni.
4. All’art.8 con il quale si introducono “Misure in materia di informazione e comunicazione”, si rischia addirittura di mettere in discussione il principio del diritto costituzionalmente garantito della “libera manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. In particolare, il comma 2 del citato art.8 attribuendo al CORECOM una funzione di monitoraggio dei contenuti della programmazione televisiva e radiofonica regionale e locale, nonché dei messaggi commerciali e pubblicitari, rischia di incorrere in vari vizi di illegittimità, primo fra tutti appunto la violazione dell’articolo 21 della Costituzione sulla “Libertà di Pensiero e di Parola”, in ragione della quale “la Stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. A questo proposito, si richiamano alla comune valutazione i contenuti dell’art. 3 e 12 del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, n.177 del 31 luglio 2005.
In conclusione, a giudizio della scrivente sul ddl in esame vanno operati approfondimenti di merito sul piano tecnico e giuridico, anche in un confronto interistituzionale, per evitare di intervenire legislativamente su aspetti della specifica materia di esclusiva competenza statale, con la conseguenza di ingenerare conflitti di interesse, dettati da vizi di “Eccesso di Potere”, incorrendo in inevitabili impugnative innanzi alla corte Costituzionale.