È stata trasmessa al Parlamento il 18 gennaio 2019 la Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della legge 194/78, con i dati definitivi relativi all’anno 2017.
Le interruzioni volontarie di gravidanza registrate in Italia sono state complessivamente 80.733, contro un numero di nati vivi nello stesso anno di 455908, ennesimo record negativo in fatto di denatalità.
Nel 2017, in Puglia, gli aborti volontari sono stati 7.085, nel contesto di una popolazione femminile in età fertile (15-49 anni) sempre meno numerosa: 900.082 donne. Il numero di aborti pugliesi per 1000 nati vivi (rapporto di abortività) è stato di 236,3; il tasso di abortività registrato in Puglia è stato di 7,9, contro il 6,2 dell’intero Paese ed il 5,9 dell’Italia meridionale. In pratica , per entrambi gli indicatori più attendibili relativi all’andamento del fenomeno, la Puglia è la seconda regione più “abortiva “ d’Italia dopo la Liguria; a fronte di ciò, il tasso di fecondità delle donne pugliesi nel 2017 è stato di 33,3, fra i più bassi del Paese.
La Puglia ha inoltre fatto registrare il più alto tasso di abortività nella fascia d’età fra i 15 ed i 17 anni: 4,0 contro una media nazionale di 2,7. Le donne più interessate dal fenomeno abortivo sono comunque quelle tra i 20 e i 39 anni, a segnalare l’esistenza di notevoli difficoltà strutturali a portare a termine una gravidanza nelle età della vita più fertili. Il 51.8% delle donne pugliesi che ha abortito nel 217 era nubile, il 41.2% coniugata. Il 34.1% non aveva alcun figlio , mentre il 30.9% ne aveva due. Fa riflettere il dato secondo cui il 36.4% era in possesso di una regolare occupazione, mentre solo il 15.1 % risultava disoccupata e un altro 36.4% casalinga. Solo il 12.7% è rappresentato da straniere.
Sarebbe interessante una lettura incrociata dei dati, impossibile secondo l’attuale sistema di rilevazione. «Possiamo comunque intravedere da questi dati – commenta la presidente del Forum delle associazioni familiari di Puglia Lodovica Carli – la conferma delle difficoltà delle donne occupate a mantenere il posto di lavoro in caso di gravidanza, così come la persistente penuria di servizi per le famiglie con bambini piccoli».
Il 32% delle donne che hanno interrotto la loro gravidanza nel 2017 non era alla sua prima esperienza, mentre continua ad essere limitata ( il 28.7%) la percentuale delle donne che si rivolgono al Consultorio per il colloquio preliminare all’ivg. Prevale il rivolgersi al medico di fiducia e al servizio ostetrico ginecologico. Il 56.5% delle ivg viene portata a termine entro l’8° settimana di gravidanza, con il 75.6% delle donne che non aspetta più di due settimane fra la richiesta e l’esecuzione dell’intervento, anche per il crescente ricorso all’aborto farmacologico mediante mifepristone (RU 486).
Il 79.4% dei ginecologi pugliesi ed il 52.3% degli anestesisti sono obiettori di coscienza: il Ministero quindi conferma l’assenza di particolari criticità o difficoltà nell’accesso al’ivg dal parte delle donne pugliesi che lo richiedano, al contrario di quanto periodicamente si sente affermare da alcune voci del mondo politico.
«C’è da chiedersi come e quanto si lavori effettivamente – prosegue la presidente Carli -, soprattutto nei consultori, per aiutare le donne che desiderano portare a termine la loro gravidanza a “superare le cause che le inducono a chiedere di abortire”, così come esplicitamene richiesto dall’articolo 5 della legge 194/78.
Questa situazione avrebbe bisogno di essere affrontata realmente dalla politica, a cominciare dal potenziamento della rete dei consultori pubblici e dalla necessaria revisione della fisionomia di un servizio ancora eccessivamente medicalizzato; così come è necessaria un’integrazione del servizio pubblico con la rete dei consultori privati già presenti sul territorio e riconosciuti dalla Regione.
Converrebbe quindi, come più volte richiesto dal Forum delle associazioni familiari di Puglia, approntare un sistema di monitoraggio delle cause che motivano le pugliesi a chiedere e a ricorrere all’ivg, al fine di mettere a punto specifiche politiche preventive, così come costruire una rete fra associazioni, servizi pubblici e di privato sociale in grado di aiutare, in diversi modi, una donna desiderosa di condurre a termine la sua gravidanza, seppur in difficoltà. I diritti delle donne non si tutelano infatti lasciandole sole ad affrontare problemi più grandi di loro e privandole così di fatto del diritto a diventare madri».
Inoltre, negli ultimi anni, è cresciuta in modo esponenziale la vendita dei cosiddetti “contraccettivi di emergenza”, più conosciuti come “pillola del giorno dopo” o “dei cinque giorni dopo”, acquistabili in farmacia dal 2015 senza prescrizione medica, che davvero poco hanno a che fare con una seria e serena procreazione responsabile, caratterizzandosi per un consumo che potremmo definire “al bisogno” ed esponendo le nuove generazioni a un rischio crescente di malattie sessualmente trasmissibili, fra le cause più frequenti di infertilità di coppia.
È necessario dunque che cresca fra adolescenti e giovani la conoscenza della propria corporeità e della propria fertilità biologica, nonché l’adozione di comportamenti consapevoli in grado di tutelarla come un bene prezioso. «Ci sembra urgente – ribadisce il Forum – proporre nelle scuole seri percorsi di educazione dell’affettività e della sessualità, che sappiano accompagnare i ragazzi alla scoperta di sé, della propria identità, dell’amicizia, dell’amore e del dono di sé. Per una piena educazione della persona sessuata non è sufficiente infatti la sola informazione anatomo-fisiologica o contraccettiva. Occorre assumere una prospettiva educativa, che aiuti gli adolescenti a dare significato esistenziale alle informazioni ricevute tramite una strettissima collaborazione fra famiglia e scuola. Più che mai in questo campo non abbiamo bisogno di ideologie che sminuiscano il significato e il valore della differenza sessuale fra maschile e femminile. C’è invece necessità di una riscoperta e di una risemantizzazione del maschile e del femminile, oltre gli stereotipi e verso la scoperta della loro verità antropologica».