Mar 4, 2019 | Approfondimenti
Di seguito vi proponiamo il contributo predisposto dal Forum delle associazioni familiari di Puglia e illustrato nel corso del convegno tenutosi in Fiera del Levante il 1° marzo 2019, che ha tracciato il bilancio del ReD a due anni dall’avvio.
0. Premessa
La filiera delle politiche familiari comprendono tre ambiti:
politiche strutturali a favore della famiglia, orientate a garantire le condizioni di “benessere/agio” delle famiglie, oltre ad una capacità di progettazione di mediolungo periodo e non, come spesso oggi accade, di brevissimo periodo (scuola, sicurezza, società, salute);
politiche di contrasto al disagio familiare (inclusione sociale, povertà, vulnerabilità sociale, ecc.), in una ottica di integrazione territoriale socio-assistenziale;
politiche orientate a contrastare le situazioni patologiche (sanità, sanità territoriale) in una ottica di integrazione socio-sanitaria.
La questione povertà familiare costituisce, quindi, un settore nell’ambito delle politiche di contrasto del disagio.
1. Quando una famiglia, una persona è in povertà assoluta
Per definire le famiglie e le persone in povertà assoluta, l’ISTAT individua una soglia di povertà assoluta che si modifica annualmente.
La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza.
Una famiglia è assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario.
La soglia di povertà assoluta varia per tipologia di centro urbano.
ESEMPI DI SOGLIA MONETARIA MENSILE DI POVERTA’ ASSOLUTA CHE SI PUO’ STIMARE IN PUGLIA nel 2014
N. componenti Città metropolitana Piccolo comune
2 componenti adulti 882 816
2 componenti anziani 830 763
5 componenti con tre minori 1.523 1.426
6 componenti con 4 minori 1.617 1.511
(Stima su dati Istat)
I nuclei familiari che hanno un reddito che non consente di poter acquistare questo paniere di beni sono al di sotto della soglia della povertà assoluta.
L’incidenza è maggiore nella periferia della città metropolitane e con più di 50.000 abitanti.
2. Chi sono i soggetti in povertà assoluta
Secondo gli ultimi dati disponibili (2017) la povertà assoluta nel Mezzogiorno riguarda prevalentemente le seguenti tipologie:
• Famiglie con 3 e più figli (23,6%),
• Le famiglie monogenitoriali con due e più figli
• Famiglie di soli stranieri (42,6%)
• Famiglie con capofamiglia disoccupato (circa il 22%);
3. La situazione delle Famiglie
Le famiglie sono costituite da 450 mila persone sole, per più della metà con oltre 60 anni, e da 1.166.000 nuclei familiari. I nuclei familiari con 3 e più figli ammontano a circa 90mila nel 2017 (7,8%) del totale dei nuclei familiari (al netto di quelle unipersonali), ma rappresentano il 30% del totale dei figli. Di questi le famiglie monogenitoriali sono circa 10.300 (circa il 6,7%% del totale delle famiglie monogenitoriali), di cui l’84% hanno la
donna come capofamiglia.
4. Risultati REI
In base all’ultimo rapporto INPS sull’utilizzo del REI Nel corso del 2018 sono stati erogati benefici economici a 462 mila nuclei familiari coinvolgendo 1,3 milioni di persone (68% dell’importo erogato e il 71% delle persone coinvolte).
I nuclei con minori sono 243 mila: essi rappresentano il 53% dei nuclei beneficiari e coprono il 71% delle persone interessate. La classe modale dei nuclei con minori è quella con quattro componenti, che rappresenta il 32% del totale. I nuclei con disabili sono 82mila e rappresentano il 18% dei nuclei beneficiari, coprendo il 17% delle persone
interessate. La classe modale dei nuclei con disabili è quella con un solo componente, che rappresenta il 28% del totale.
Il numero dei percettori del REI in Puglia nel 2018 ammontano 35.712 nuclei familiari, 99.005 persone coinvolte, con un importo medio mensile di 293 euro.
RDC si stima riesca a coprire il 7,7% dei nuclei familiari, circa 120.000 nuclei familiari.
5. Punti di criticità del reddito di cittadinanza.
I requisiti penalizzano le famiglie con tre e più figli e soprattutto quelle con figli minori, proprio quelle che registrano il maggior tasso di povertà assoluta e rappresentano per la strana scala di equivalenza adottata sia nella fase di accesso ai benefici, sia nell’ammontare che non consente di raggiungere la linea di povertà assoluta.
Nel caso della scala di equivalenza ISEE, ad esempio, un nucleo con tre minori dovrebbe disporre di risorse pari a 3,17 volte quelle di un monocomponente per disporre del medesimo livello di benessere economico.
Inoltre è in queste famiglie che si concentra il maggior tasso di povertà educativa dei
minori. Qualche miglioramento c’è per le famiglie con disabili. Ma riteniamo insufficienti i
progressi fatti, atteso che molte famiglie si impoveriscono o addirittura rinunciano alle
cure sanitarie (per chi è già povero), se qualcuno si ammala seriamente.
Le famiglie di immigrati con le ulteriori restrizioni apportate in Commissione Permanente del Senato per accertare la situazione economica e patrimoniale soprattutto per i residenti extra UE.
Dal RDC sono escluse le famiglie di immigrati extra-comunitari con permesso di soggiorno, se residenti in Italia da meno di dieci anni, e tutte quelle (composte anche di soli italiani) che non hanno vissuto in Italia continuativamente negli ultimi due anni.
I senza fissa dimora
A fronte di un aumento significativo delle soglie di selettività, sono previste forme di condizionalità più stringenti, con particolare riguardo al vincolo dell’accettazione delle offerte di lavoro.
Si stima che RDC possa coprire circa il 75% dei nuclei familiari in povertà assoluta.
Il beneficio economico medio per una famiglia di cinque componenti è di 1.864 euro/anno a fronte di 3.423 euro/anno per una persona singola.
6. Come intervenire con il reddito di dignità
Deve essere chiaro che la presa incarico è il nucleo familiare in povertà assoluta come elemento prioritario.
Infatti, il nucleo familiare è il riferimento idoneo per valutare le condizioni economiche della persona e rappresenta il quadro di contesto imprescindibile nel quale collocare l’approfondimento della sua situazione sociale e relazionale.
Se la famiglia consente di individuare il contesto, l’utente dei percorsi di inclusione è la singola persona componente della famiglia, con i propri fabbisogni personali e relazionali.
Pertanto, all’interno della famiglia in condizioni di povertà assoluta, ci sono fabbisogni per le diverse persone che la compongono e quindi la individuazione di percorsi personalizzati definiti attraverso un patto individuale tra i diversi componenti della famiglia e le istituzioni pubbliche competenti.
Punti di forza e debolezza
Punto di forza la presa in carico dell’intero nucleo familiare
Punto di debolezza la carenza di posti di lavoro offerti e di servizi da offrire alternativi al lavoro
Da una rapida indagine autonoma presso le associazioni del Forum presenti sul territorio e quella che rappresento come Famiglie Numerose:
a. La misura REI/RED è stata accolta favorevolmente dalle famiglie e da quelle numerose in particolare che finalmente hanno avuto un piccolo riconoscimento a livello economico e laddove hanno saputo giocarsi la carta del tirocinio lavorativo hanno anche ritrovato una certa dignità soprattutto nel caso di donne e giovani figli (che hanno potuto anche arricchire il loro curriculum). Gli uomini hanno manifestato maggiore resistenza e delusione (rinunciando all’offerta di lavoro in alcuni casi) in quanto spesso ciò che guadagnavano in modo poco formalizzato
anche stagionalmente superava il “misero” contributo.
b. Alcuni Comuni hanno pubblicizzato l’iniziativa con incontri pubblici aperti ai cittadini altri hanno lasciato ai patronati/CAF, che pure hanno avuto un ruolo importante, la pubblicizzazione dell’iniziativa.
c. Le risorse umane nei Comuni, del tutto inadeguate numericamente all’inizio, sono via via aumentate e si sono formate sul campo, anche in questo caso va considerato che alcuni Comuni da poco hanno potuto assumere con inevitabili ripercussioni sulla presa in carico dei nuclei beneficiari. Anche in questo caso non si è avuto il tempo di far rodare l’organizzazione che ora si cambia…
d. Per quanto riguarda la misura, sicuramente il doppio binario SIA prima REI dopo, accompagnato dal RED ha complicato non poco, anche se ha ampliato la platea dei destinatari. Mettiamoci nei panni di una famiglia multiproblematica (la maggior parte dei richiedenti) che non coglie queste sottigliezze e che si è sentita sballottolata tra Caf, Comune, Regione ed INPS.
e. Purtroppo questa confusione e l’idea elaborata da molti di venire presi in giro, ha anche fatto registrare casi di aggressione e di toni violenti ed esasperati nei confronti di tutti gli operatori coinvolti.confronti di tutti gli operatori coinvolti.
f. La presa in carico dell’intero nucleo familiare, punto di forza della misura, non è stata ben intesa. C’è voluto del tempo perché il soggetto richiedente capisse che era coinvolta tutta la famiglia nel progetto ed ora che si è capito meglio il il meccanismo, tutto sarà rimesso in discussione
g. Partendo dal presupposto che i posti di tirocinio o i percorsi formativi sono stati minimi rispetto alla platea di richiedenti, alcuni Comuni hanno cercato di attivare gli altri servizi “obbligando” a riprendere la scuola (figli inadempienti), a far frequentare il nido, il centro polivalente con sostegno scolastico…. Purtroppo l’offerta dei servizi si è mostrata carente, in particolare sarebbero stati necessari più centri socio educativi con sostegno scolastico, assistenza domiciliare, asili nido, servizi per contrastare la povertà educativa dei minori. Diversi hanno
percepito solo il sussidio.
h. Laddove si è potuto orientare le famiglie richiedenti si è cercato di far fare la domanda ad un figlio/a maggiorenne maggiormente scolarizzato, più facilmente collocabile in un tirocinio o corso di formazione.
i. Purtroppo pochissimi sono stati i tirocini trasformatisi in contratti di lavoro perché la maggior parte dei progetti sono stati di enti pubblici, pochi sono stati i privati.
Alcuni Comuni nella fase di attuazione dei servizi rivolti ai beneficiari del RED e del SIA (misura successivamente sostituita dal REI) hanno cercato di strutturare diverse fasi di seguito semplificate:
1. pre assessment, servizio erogato dagli operatori del servizio di segretariato sociale dei vari municipi;
2. assessment e Piano individualizzato, servizio erogato dall’equipe multidisciplinare costituita oltre che dagli assistenti sociali del Comune anche da esperti di orientamento al lavoro;
3. attivazione dei percorsi di inclusione.
I tentativi dei Comuni di assumere una presa in carico complessiva dei bisogni dei beneficiari è apprezzabile, ma la quantità numerica dei richiedenti , una certa complessità amministrativa della gestione che già in passato ha rallentato l’avvio delle attività , unita ad alcuni tentativi di una parte della platea di aggirare lo spirito delle politiche di contrasto alle povertà spingendole verso dinamiche assistenzialistiche, ha reso l’attuazione del SIA , del RED e del REI fino ad oggi e del reddito di cittadinanza dal 6 marzo un’attività particolarmente complessa.
Quali sono state le interconnessioni e gli scambio di informazioni tra i servizi per il lavoro e le opportunità offerte da misure di intervento quali Garanzia Giovani, Nidi, PIN.
Quali interconnessioni sono state attivate tra i beneficiati della misura RED e i servizi di contrasto: alla dispersione scolastica, alla formazione professionale finalizzata, a progetti di istruzione e formazione professionale per ragazzi problematici tra 13 e 15 anni che non vanno e non vogliono più andare a scuola nei percorsi tradizionali. Questi sono
presenti soprattutto nei quartieri difficili delle grandi città pugliesi.
7. Proposte operative
Data la rilevanza dei nuclei familiari con almeno tre figli minori (in coppia, anche ambedue stranieri e monogenitoriali) in situazione di povertà assoluta, tenuto conto della scarsa copertura individuata dal Reddito di Cittadinanza sia per i criteri di accesso sia del beneficio medio in base alle penalizzanti scale di equivalenza adottate, si propone di focalizzare l’attenzione su questa tipologia di nuclei familiari:
a. aumentare l’ISEE almeno fino a 25.000 euro, un ISRE almeno superiore a 10.000 euro
b. modificare la scala di equivalenza attraverso il correttore del Fattore Famiglia;
c. aumentare il beneficio economico almeno a 600 euro mensili.
Per i nuclei familiari con almeno tre figli:
a. aumentare l’ISEE almeno fino a 15.000 euro, un ISRE almeno superiore a 6.000 euro
b. modificare la scala di equivalenza attraverso il correttore del Fattore Famiglia (in
allegato);
c. aumentare il beneficio economico almeno a 500 euro mensili.
Nuclei familiari con componente non autosufficiente che non rientrano nei criteri di accesso agli assegni di cura. Anche in questo caso è necessario calibrare la misura in relazione ai carichi di cura per composizione e componenti del nucleo familiare.
L’altra categoria importante riguarda senza fissa dimora e le altre categorie speciali già individuate.
La novità del ReD è che al sussidio monetario si dovrebbe associare un sistema di servizi per le persone non attivabili per l’inserimento lavorativo.
Potenziare i Punti Unici di Accesso per aumentare la capacità di accesso.
Dare attuazione a quanto stabilito nella Legge Regionale n.3/2016 riguarda alla predisposizione e l’accesso ai servizi, atteso che buona parte della platea di riferimento non è attivabile in percorsi di tirocinio per l’inserimento lavorativo: educativi per minori, formazione professionale per i minori tra 13 e 16 anni che non vanno più a scuola ma che possono essere recuperati attraverso specifici percorsi di formazione professionale con progetti pilota nelle aree a maggior disagio delle grandi città della regione; una forte interconnessione tra i figli di beneficiari e gli strumenti messi a disposizione dal Programma di Garanzia giovani.
Nella legge si parla addirittura la promozione e la valorizzazione dell’abitazione del nucleo familiare beneficiario dell’intervento, iniziative di autocostruzione a esempio nell’ambito del patrimonio abitativo delle Agenzie regionali per la casa e l’abitare (ARCA), strumenti di micro-finanza e micro-credito sociale, con l’obiettivo di migliorare
la propria condizione abitativa, con l’affiancamento di imprese edili e artigiane impegnate nel settore.
Tutto ciò è molto avanzato, ma va realizzato, si tratta una strutturazione efficace tra la rete di servi di contrasto alla povertà sul territorio. In questo caso è necessario comprendere il fabbisogno delle famiglie in situazione di povertà assoluta che si è venuto delineando sul territorio dopo due anni di applicazione del RED, e della dimensione e
articolazione dell’offerta.
Non so se è sufficiente, per quanto indicato, il Piano Regionale di contrasto alla povertà approntato di recente. Se sarà necessario apportare delle integrazioni alla luce dell’introduzione del RdC e la cancellazione del ReI.
Con riferimento, ad esempio ad uno degli obbiettivi qualificanti della legge: Costruire percorsi personalizzati e integrati di sostegno economico, integrazione sociale e reinserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati, credo che un ragionamento vada fatto con l’ARPAL. Se si prende in considerazione il nucleo familiare in povertà assoluta, con la presenza di minori, la presa in carico dovrebbe prevedere non solo percorsi di inserimento lavorativo, ma anche gli altri due aspetti che possono riguardare gli altri soggetti del nucleo familiare in povertà assoluta:
1. inserimento sociale;
2. contrasto alla povertà educativa dei minori;
3. servizi orientati all’inclusione sociale attivati in co-progettazione con gli organismi del terzo settore, al fine di superare la mera condizione di pura assistenza;
4. potenziamento delle professionalità che devono accompagnare il processo di strutturazione e diffusione sul territorio della rete dei servizi.
Va fatto un ragionamento sulle risorse e come orientarle per raggiungere i pochi obiettivi individuati. E’ chiaro che si tratta di scelte che vanno a completare ciò che il Reddito di Cittadinanza non copre, stando ai requisiti accesso: platea di riferimento e concentrazione delle risorse
8. In conclusione
E’ evidente che la strategia di contrasto alla povertà familiare richiede una revisione delle politiche e delle risorse destinate alle politiche sociali e alle politiche attive del lavoro.
Il ruolo della Regione è cruciale sotto un duplice profilo:
1. nel coordinamento, nel potenziamento e nel funzionamento del sistema dei servizi per il lavoro, pubblici e privati accreditati. Cruciale è la individuazione degli strumenti di valutazione e orientamento verso una professione. In questo ambito potrebbe essere utile adottare schemi standard di valutazione come il modello “AVO – dall’AutoValutazione dell’Occupabilità al progetto professionale”, messo a punto da INAPP.
E’ da tener presente che l’inclusione lavorativa potrà riguardare una quota ridotta dei potenziali beneficiari, quelli realmente attivabili sul mercato del lavoro (intorno al 30% del totale dei beneficiari).
2. Nella programmazione dei servizi necessari all’attuazione del RdC nel proprio territorio e nella promozione di forme di collaborazione tra i diversi attori pubblici coinvolti nell’attuazione del RdC a livello territoriale (servizi sociali, CpI, istruzione, politiche abitative e salute) così come tra questi e le realtà associative e del terzo settore.
In questo ambito si pensi ai progetti di utilità sociale dei comuni adattati ai beneficiari in attesa di una proposta di lavoro (i progetti non debbono essere in alcun modo sostitutivi di attività retribuite svolte da altri attori).
Documento a cura del Forum Delle Associazioni familiari di Puglia
Presentato nel convegno del 1 marzo 2019 – Bilancio della misura RED a due anni dall’avvio.
Fiera del Levante – Sala Agora’
Feb 13, 2019 | Approfondimenti
«L’educazione sessuale nelle scuole bisogna insegnarla. Il sesso è un dono di Dio. Non è un mostro. È il dono di Dio per amare. Che alcuni lo usino per fare soldi o sfruttare gli altri è un altro problema. Però bisogna dare un’educazione sessuale oggettiva, come è. Senza colonizzazione ideologica. Con l’eduzione sessuale piena di colonizzazione ideologica si distrugge la persona. Però il sesso come dono di Dio deve essere educato, estrarre il meglio della persona e accompagnarla nel cammino. L’ideale è che si cominci in casa. Ma non sempre è possibile perché ci sono tante situazioni diverse nelle famiglie. Dunque la scuola supplisce, ma non succeda che il vuoto sia riempito con qualche ideologia». Lo ha detto recentemente papa Francesco.
Le parole del Santo Padre confermano innanzitutto il primato educativo dei genitori, sottolineando l’importanza di un’alleanza educativa fra scuola e famiglia, resa ancor più urgente da una tendenza alla delega del compito educativo vissuta da parte dell’attuale generazione adulta. Al tempo stesso, indicano la centralità della prospettiva educativa. Subito, infatti, il Pontefice dichiara il significato della sessualità, la dimensione della persona umana forse più umiliata, più banalizzata , più ideologizzata nell’attuale contesto culturale; così facendo indica la prospettiva di lavoro quando si vuole accompagnare gli adolescenti alla scoperta dell’affettività e della sessualità: quella educativa.
Dice il Papa: «La sessualità è il dono di Dio per amare».Si può non essere d’accordo con questa affermazione, ma non sulla prospettiva educativa che essa propone,che dev’essere il cuore dell’azione di genitori e docenti. Tutto questo è lontanissimo dal più comune – e più semplice – informare i ragazzi su anatomia, fisiologia e contraccezione, contenuti con cui i più fanno coincidere l’educazione sessuale. In realtà, come il Pontefice indirettamente suggerisce, il ragazzo non è tanto interessato all’informazione sessuale, quanto all’essere educato all’incontro con la sessualità. La letteratura scientifica ha dimostrato che laddove prevalga tale modello informativo, paradossalmente sono più numerosi gravidanze e aborti volontari tra le minorenni e diffusione delle malattie a trasmissione sessuale. Ciò accade in Paesi quali il Regno Unito dove, malgrado i notevoli investimenti del Governo in programmi d’informazione sessuale fin dalla scuola primaria, si registra il tasso di gravidanze e aborti fra minorenni più alto d’Europa; così come in Svezia o in Francia. L’ Italia, invece, malgrado si lamenti una relativamente scarsa numerosità delle proposte di educazione sessuale presenti nelle scuole, è la nazione europea in cui, dopo la Svizzera, si registrano meno aborti nelle adolescenti (fonte: Ministero della Salute). Sono dati che devono far riflettere e aiutarci a superare luoghi comuni tanto infondati quanto dannosi.
C’è bisogno di altro, di più. I ragazzi hanno bisogno di scoprire il significato di amore e sessualità per la loro vita, di essere accompagnati a conoscerne la bellezza e a crescere responsabilmente.
Ma è altrettanto necessario garantire, dice ancora il Pontefice, «un’educazione sessuale oggettiva, come è. Senza colonizzazione ideologica. Con l’eduzione sessuale piena di colonizzazione ideologica si distrugge la persona». Cosa intende papa Francesco per “colonizzazione ideologica”? Lo ha esplicitato più volte in alcuni suoi interventi, riferendosi alla cosiddetta ideologia del gender, di cui la maggior parte delle persone ignora o nega l’esistenza, ma i cui effetti sono già presenti e pervasivi anche in Italia. Secondo l’ideologia gender non esisterebbe una base biologica della differenza sessuale e l’identità di genere di un soggetto sarebbe il frutto di condizionamenti socio-culturali e del “sentire” proprio di ciascuno, peraltro suscettibile di variazioni nel tempo. È un pensiero rifiutato in modo deciso e pressoché unanime dalle scienze naturali, oltre che in netto contrasto con quanto vissuto a livello sensoriale dalla stragrande maggioranza dei cittadini comuni.
È opportuno ricordare che il Parlamento nazionale (a seguito della ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, che nell’articolo 14 assegna alla scuola un ruolo fondamentale), approvando l’ultima Legge di riforma della Scuola (n.107/2015), ha inserito nel curricolo scolastico l’obiettivo formativo della “educazione alla parità tra i sessi” come prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni; e che le Linee Guida nazionali della legge 107,assunte dal Miur e intitolate “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione”,dichiarano esplicitamente che ogni riferimento all’ideologia gender deve essere escluso dalla scuola e dal suo lavoro educativo.
Un’indicazione chiarissima, contraddetta invece da alcune azioni della Regione Puglia e del Comune di Bari; la Regione, spingendo per l’approvazione definitiva del cosiddetto ddl antiomofobia, prevede infatti l’introduzione nelle scuole (articolo 3) di percorsi formativi destinati ad alunni, docenti e genitori in materia di contrasto agli stereotipi di genere e al bullismo omofobico, la cui regia è affidata (dall’articolo 7 dello stesso ddl) a un “Tavolo tecnico” composto in prevalenza da esponenti di associazioni Lgbt, senza prevedere la partecipazione di rappresentanti di associazioni di docenti o di genitori; anche questo è in netta contraddizione con il disposto dalla circolare del Miur del 20.11.2018 che auspica unapiù stretta, concreta e proficua alleanza educativa fra scuola e famiglia.
Un altro esempio viene invece dal Comune di Bari, che ha provveduto a stampare un opuscolo dal titolo “Che cos’è l’amor”, destinato ai ragazzi delle scuole cittadine. I testi dell’opuscolo, peraltro reperibili sul web, sono, a nostro avviso, assolutamente inadeguati alla funzione educativa che si vorrebbe avessero, proponendo informazioni, descrizioni e comportamenti decisamente fuorvianti anche per ragazzi che manifestino orientamenti omosessuali e che avrebbero bisogno di ben altre forme di accoglienza, rispetto e accompagnamento. Occorre ben altro per educare i ragazzi su un tema così fondamentale. Occorre evitare qualsiasi forma di superficialità e di deriva ideologica.
Proprio su questo punta da sempre il Forum regionale delle Associazioni Familiari, che lavora per raggiungere obiettivi concreti quali la valorizzazione del protagonismo educativo dei genitori, superando qualsiasi tendenza alla delega; la costruzione sul territorio di alleanze educative fra scuola e famiglia; la formazione permanente al compito educativo, guidata da chiari criteri scientifici e condivisa da famiglie e docenti nella prospettiva della care per la maturazione umana e professionale delle nuove generazioni.
Un’idea a cui la Regione Puglia ha dato credito, approvando e finanziando il progetto di sostegno alla genitorialità, in partenza a breve e della durata di 18 mesi, dal titolo “Generare figli, educare persone, costruire futuro”.
Feb 5, 2019 | Approfondimenti
È stata trasmessa al Parlamento il 18 gennaio 2019 la Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della legge 194/78, con i dati definitivi relativi all’anno 2017.
Le interruzioni volontarie di gravidanza registrate in Italia sono state complessivamente 80.733, contro un numero di nati vivi nello stesso anno di 455908, ennesimo record negativo in fatto di denatalità.
Nel 2017, in Puglia, gli aborti volontari sono stati 7.085, nel contesto di una popolazione femminile in età fertile (15-49 anni) sempre meno numerosa: 900.082 donne. Il numero di aborti pugliesi per 1000 nati vivi (rapporto di abortività) è stato di 236,3; il tasso di abortività registrato in Puglia è stato di 7,9, contro il 6,2 dell’intero Paese ed il 5,9 dell’Italia meridionale. In pratica , per entrambi gli indicatori più attendibili relativi all’andamento del fenomeno, la Puglia è la seconda regione più “abortiva “ d’Italia dopo la Liguria; a fronte di ciò, il tasso di fecondità delle donne pugliesi nel 2017 è stato di 33,3, fra i più bassi del Paese.
La Puglia ha inoltre fatto registrare il più alto tasso di abortività nella fascia d’età fra i 15 ed i 17 anni: 4,0 contro una media nazionale di 2,7. Le donne più interessate dal fenomeno abortivo sono comunque quelle tra i 20 e i 39 anni, a segnalare l’esistenza di notevoli difficoltà strutturali a portare a termine una gravidanza nelle età della vita più fertili. Il 51.8% delle donne pugliesi che ha abortito nel 217 era nubile, il 41.2% coniugata. Il 34.1% non aveva alcun figlio , mentre il 30.9% ne aveva due. Fa riflettere il dato secondo cui il 36.4% era in possesso di una regolare occupazione, mentre solo il 15.1 % risultava disoccupata e un altro 36.4% casalinga. Solo il 12.7% è rappresentato da straniere.
Sarebbe interessante una lettura incrociata dei dati, impossibile secondo l’attuale sistema di rilevazione. «Possiamo comunque intravedere da questi dati – commenta la presidente del Forum delle associazioni familiari di Puglia Lodovica Carli – la conferma delle difficoltà delle donne occupate a mantenere il posto di lavoro in caso di gravidanza, così come la persistente penuria di servizi per le famiglie con bambini piccoli».
Il 32% delle donne che hanno interrotto la loro gravidanza nel 2017 non era alla sua prima esperienza, mentre continua ad essere limitata ( il 28.7%) la percentuale delle donne che si rivolgono al Consultorio per il colloquio preliminare all’ivg. Prevale il rivolgersi al medico di fiducia e al servizio ostetrico ginecologico. Il 56.5% delle ivg viene portata a termine entro l’8° settimana di gravidanza, con il 75.6% delle donne che non aspetta più di due settimane fra la richiesta e l’esecuzione dell’intervento, anche per il crescente ricorso all’aborto farmacologico mediante mifepristone (RU 486).
Il 79.4% dei ginecologi pugliesi ed il 52.3% degli anestesisti sono obiettori di coscienza: il Ministero quindi conferma l’assenza di particolari criticità o difficoltà nell’accesso al’ivg dal parte delle donne pugliesi che lo richiedano, al contrario di quanto periodicamente si sente affermare da alcune voci del mondo politico.
«C’è da chiedersi come e quanto si lavori effettivamente – prosegue la presidente Carli -, soprattutto nei consultori, per aiutare le donne che desiderano portare a termine la loro gravidanza a “superare le cause che le inducono a chiedere di abortire”, così come esplicitamene richiesto dall’articolo 5 della legge 194/78.
Questa situazione avrebbe bisogno di essere affrontata realmente dalla politica, a cominciare dal potenziamento della rete dei consultori pubblici e dalla necessaria revisione della fisionomia di un servizio ancora eccessivamente medicalizzato; così come è necessaria un’integrazione del servizio pubblico con la rete dei consultori privati già presenti sul territorio e riconosciuti dalla Regione.
Converrebbe quindi, come più volte richiesto dal Forum delle associazioni familiari di Puglia, approntare un sistema di monitoraggio delle cause che motivano le pugliesi a chiedere e a ricorrere all’ivg, al fine di mettere a punto specifiche politiche preventive, così come costruire una rete fra associazioni, servizi pubblici e di privato sociale in grado di aiutare, in diversi modi, una donna desiderosa di condurre a termine la sua gravidanza, seppur in difficoltà. I diritti delle donne non si tutelano infatti lasciandole sole ad affrontare problemi più grandi di loro e privandole così di fatto del diritto a diventare madri».
Inoltre, negli ultimi anni, è cresciuta in modo esponenziale la vendita dei cosiddetti “contraccettivi di emergenza”, più conosciuti come “pillola del giorno dopo” o “dei cinque giorni dopo”, acquistabili in farmacia dal 2015 senza prescrizione medica, che davvero poco hanno a che fare con una seria e serena procreazione responsabile, caratterizzandosi per un consumo che potremmo definire “al bisogno” ed esponendo le nuove generazioni a un rischio crescente di malattie sessualmente trasmissibili, fra le cause più frequenti di infertilità di coppia.
È necessario dunque che cresca fra adolescenti e giovani la conoscenza della propria corporeità e della propria fertilità biologica, nonché l’adozione di comportamenti consapevoli in grado di tutelarla come un bene prezioso. «Ci sembra urgente – ribadisce il Forum – proporre nelle scuole seri percorsi di educazione dell’affettività e della sessualità, che sappiano accompagnare i ragazzi alla scoperta di sé, della propria identità, dell’amicizia, dell’amore e del dono di sé. Per una piena educazione della persona sessuata non è sufficiente infatti la sola informazione anatomo-fisiologica o contraccettiva. Occorre assumere una prospettiva educativa, che aiuti gli adolescenti a dare significato esistenziale alle informazioni ricevute tramite una strettissima collaborazione fra famiglia e scuola. Più che mai in questo campo non abbiamo bisogno di ideologie che sminuiscano il significato e il valore della differenza sessuale fra maschile e femminile. C’è invece necessità di una riscoperta e di una risemantizzazione del maschile e del femminile, oltre gli stereotipi e verso la scoperta della loro verità antropologica».
Dic 15, 2018 | Approfondimenti
Negli ultimi vent’anni, complessivamente, la perdita netta di popolazione del Mezzogiorno dovuta ai trasferimenti verso il Centro Nord è pari a un milione 174mila. Sono i dati rilevati dall’Istat nel Report sulla mobilità interna e le migrazioni internazionali.
Le regioni del Centro Nord registrano infatti flussi netti sempre positivi provenienti dal Mezzogiorno: l’Emilia Romagna ha accumulato fino al 2017 un guadagno netto di popolazione di oltre 311mila unità, la Lombardia di oltre 260mila, le altre regioni del Centro Nord, nel complesso, di circa 602 mila. I saldi netti sono invece sempre negativi tra 1997 e 2017 per le regioni del Sud e delle isole; unica eccezione l’Abruzzo, che ha presentato saldi positivi fino al 2008, mentre dal 2009 al 2017 i saldi sono stati negativi, verosimilmente in conseguenza del terremoto che ha fatto crescere le cancellazioni anagrafiche nelle zone colpite. In particolare, nel periodo considerato, la Sicilia ha perso più di 261mila residenti in seguito alla mobilità interregionale, la Campania, da sola, 464mila; le altre regioni del Mezzogiorno circa 449 mila.
Solo nel 2017, il volume complessivo della mobilità interna è di un milione e 335mila trasferimenti, sostanzialmente invariato rispetto al 2016 (+0,2%). Di essi, 323mila sono trasferimenti tra regioni diverse (-0,6%); un milione e 12mila, invece, sono movimenti avvenuti all’interno delle regioni (+0,5%). Il numero di trasferimenti interregionali è pari a 322.867 (24,2% del totale), in leggero calo rispetto all’anno precedente (325mila); il tasso di migrazione interregionale, invece, è rimasto invariato ed è pari al 5,3 per mille.
Le ultime previsioni demografiche nello scenario mediano prospettano una tendenza in lieve diminuzione e un tasso stimato al 5 per mille per il 2037.
Nov 22, 2018 | Approfondimenti
Inizia oggi la I Conferenza regionale sulla famiglia. Prima, appunto, perché la Puglia – grazie al lavoro incessante di sensibilizzazione del Forum e il recepimento bipartisan delle istanze da parte della politica locale – diventa apripista in questa nuova modalità partecipata e “dal basso” di pensare alle Politiche familiari.
«È certamente un punto di arrivo rispetto al lungo percorso che ci ha portato fin qui – dice la presidente del Forum Puglia Lodovica Carli – e che ci ha permesso di rappresentare di fronte alla politica e alle Istituzioni le istanze delle famiglie pugliesi. È il frutto della crescente consapevolezza delle famiglie di Puglia del loro valore sociale e della necessità di esercitare la loro cittadinanza attiva attraverso lo strumento dell’associazionismo.
In questo percorso, siamo stati sostenuti dalla collaborazione con diversi soggetti attivi nella società: sindacati, imprenditori, scuole, università e mondo della formazione professionale, grandi associazioni , comunità ecclesiale, e infine anche dalla politica, che ha riconosciuto che le nostre proposte non nascevano da istanze ideologiche, ma da problemi concreti e urgenti a cui è necessario dare risposta».
La Conferenza è dunque un punto di arrivo, ma soprattutto «un punto di partenza rispetto all’elaborazione partecipata del Piano regionale di Politiche familiari, che dovrà recepire le istanze che le famiglie e le loro associazioni presenteranno durante la due giorni e anche dopo, durante il percorso di partecipazione attiva. Soprattutto mi sembra un fondamentale punto di partenza per costruire modalità più stabili e incisive di confronto e collaborazione fra politica e associazionismo familiare, il cui ruolo viene riconosciuto e, in qualche modo, “istituzionalizzato”. Se per la famiglia è fondamentale agire la propria responsabilità nel costruire bene comune, in collaborazione con altre reti – istituzionali e non -, per la politica è il tempo dell’ascolto e della sussidiarietà».
Idee chiare anche sullo svolgimento dei quattro tavoli monotematici, che tratteranno il lavoro come condizione fondamentale per la ripresa della natalità, le famiglie come risorse sociali ed educative, il fisco e i servizi di cura. «Vogliamo portare avanti un confronto concreto, condiviso e responsabile». Tema della Conferenza saranno “Le politiche familiari di fronte alla sfida della denatalità”, argomento da tempo posto sotto i riflettori dal Forum a livello nazionale attraverso il PattoxNatalità e oggi rilanciato grazie all’appuntamento pugliese, in una regione che in quanto a calo delle nascite non fa eccezione, anzi. «Obiettivo fondamentale è che la Conferenza si misuri con questo drammatico problema della nostra terra che, sia per il drastico calo delle nascite in atto ormai da diversi anni, sia per il continuo, crescente esodo dei nostri giovani alla ricerca di lavoro, si va svuotando di energie ed opportunità. La denatalità è l’urgenza più drammatica del Mezzogiorno e della Puglia. Lo dicono i più autorevoli economisti: senza figli non ci può essere ripresa economica stabile, né welfare sostenibile. Insomma, senza figli non c’è futuro.
Il Forum arriva alla Conferenza con la precisa volontà di contribuire all’individuazione di azioni politiche efficaci ad affrontare la questione, le cui ricadute investono tutta la società, a partire proprio dai bisogni delle famiglie pugliesi.
Per questo è necessario evitare ogni tentativo di strumentalizzazione ideologica della Conferenza, che getti inutile fumo sui problemi concreti, impedendo così di affrontarli realmente», è l’appello della presidente Carli.
Nov 21, 2018 | Approfondimenti
Tra i promotori della mozione che ha dato il via al processo per l’indizione della I Conferenza regionale sulla famiglia, c’è anche il consigliere regionale Saverio Congedo.
Anche a lui abbiamo chiesto cosa l’ha convinto che questo passo fosse indispensabile per la Puglia.
«Tutte le indagini degli ultimi anni – Svimez, Istat, Banca d’Italia e, di recente, la ricerca del “Sole 24 ore” sulla qualità della vita – fotografano una condizione socio-economica drammatica: economia che arretra, ritorno dell’emigrazione giovanile, basso tasso di natalità, crescita naturale negativa, media figli fra le più basse d’Italia, contrazione della popolazione giovane. Uno scenario drammatico e pericoloso che può e deve essere adeguatamente fronteggiato con adeguate politiche familiari a tutti i livelli. In questo contesto l’idea del Forum delle Famiglie di Puglia, di sigle sindacali e realtà del territorio di un tavolo di lavoro per la costruzione del nuovo Piano di Politiche familiari mi è sembrata un’opportunità da cogliere».
Qual è secondo lei il problema più urgente da risolvere?
«Denatalità e mancanza di opportunità di lavoro soprattutto per i giovani. Il report Istat sugli indicatori demografici per il 2017 segnala il record di minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia. Un inverno demografico che non risparmia la nostra regione, gravata anche dalla situazione drammatica sul fronte del lavoro, che spinge tanti nostri giovani, spesso formati e in possesso di importanti titoli di studio, a lasciare la Puglia per cercare fortuna altrove».
Cosa si aspetta dalla Conferenza?
«La Regione può e deve fare la sua parte con misure concrete di contrasto alla povertà, di sostegno alla genitorialità e alla maternità, con un fisco a misura di famiglia, agevolando l’armonizzazione dei tempi familiari con i tempi di lavoro, investendo in politiche abitative. In altri termini, mi aspetto la definizione di una strategia complessiva di interventi dedicati alle politiche familiari sul fronte del lavoro, del fisco, del welfare».