Nov 21, 2018 | Approfondimenti
Tra i firmatari della Lettera aperta che lo scorso novembre ha dato il via al processo per l’indizione della Conferenza regionale sulla Famiglia, in programma domani e dopodomani a Bari, c’era anche la Cisl Puglia. «Riteniamo infatti – sostiene il segretario generale Daniela Fumarola – che serva al Paese un patto per la famiglia e la natalità. Abbiamo condiviso, insieme al Forum delle associazioni familiari, l’esigenza di impegnare il Governo regionale e la politica affinché sia data priorità a questi temi».
Il sindacato sarà naturalmente presente alla due giorni, al via domani in Fiera del Levante a Bari. «La Cisl Puglia – prosegue la Fumarola – continuerà a sostenere l’importanza di politiche che supportino concretamente le famiglie e agevolino la scelta di generare, crescere ed educare i figli, perché questo non rappresenta un importante evento solo privato, ma un fattore decisivo per lo sviluppo economico, la crescita sociale, il rinnovamento culturale, l’arricchimento e la rivitalizzazione dell’intera società.
Crediamo che il nostro Paese debba investire di più sul potenziale offerto dalle famiglie. Se vuole rafforzare la coesione sociale e dare una spinta e una nuova direzione allo sviluppo non bastano misure parziali o interventi transitori, che costituiscono solo delle “boccate di ossigeno” nella permanente apnea di un ambiente sfavorevole alle relazioni e alla cura. Vanno promosse politiche più robuste, se si intende davvero e concretamente fare forti le famiglie e il Paese.
Come Cisl diciamo basta bonus, e ci aspettiamo più misure sul lavoro, politiche fiscali a favore dei nuclei familiari e misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro».
In particolare, passando alle proposte concrete, «le prime azioni che ci attendiamo vengano intraprese dovranno essere l’istituzione di un nuovo assegno familiare universale, aggregando in un unico istituto l’attuale assegno al nucleo familiare e le detrazioni per familiari a carico, nonché la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali integrate con i livelli di assistenza minima sanitaria, rafforzando in questo modo la rete dei servizi al cittadino. E ancora un piano per le non autosufficienze, una normativa regionale di sostegno alle cure a lungo termine e infine un investimento sui servizi socio-educativi da zero a tre anni, senza mai perdere di vista il fondamentale coinvolgimento di tutto il partenariato economico e sociale», conclude il segretario generale Cisl Puglia.
Nov 19, 2018 | Approfondimenti
Le associazioni familiari. Quelle aderenti al Forum, ma non solo. Saranno loro, con le istanze e le buone prassi, con l’impegno e l’esempio, il motore e il cuore pulsante della I Conferenza regionale sulla famiglia, che si terrà in Fiera del Levante il 22 e il 23 novembre prossimi.
Realtà come Famiglia per tutti onlus, che dal 2002 a Bari promuove la cultura della solidarietà e dell’accoglienza in favore dei minori in stato di disagio o di abbandono.
Secondo l’esperienza della presidente Angela De Girolamo, da sempre in prima linea nel volontariato, i problemi principali a cui far fronte in quest’ambito sono «la scarsa attenzione alla famiglia come risorsa, un sistema di servizi frammentario e l’assenza di sostegno nelle fasi post accoglienza».
Proprio per questo la Conferenza «è un’occasione unica e significativa , un’importante esperienza di partecipazione attiva richiesta alle famiglie , ai cittadini, al mondo del volontariato. Un’opportunità di costruire e far conoscere i bisogni e le risorse delle famiglie pugliesi che sono a disposizione nel quotidiano lavoro e nella vita. Darà voce a tutte le istanze e le aspirazioni delle famiglie pugliesi che – spesso da sole – faticano a costruire un futuro migliore per le nuove generazioni».
E poiché «la sensibilizzazione all’accoglienza passa attraverso l’esperienza vissuta e raccontata», Famiglia per tutti porterà al tavolo del dibattito anche le esperienze positive già sperimentate, come «la formazione e lo sportello d’ascolto quali sostegni alla genitorialità», proponendo «campagne di sensibilizzazione attraverso progetti nelle agenzie sociali più significative, quali scuole, parrocchie e gruppi famiglia».
Nov 19, 2018 | Approfondimenti
La I Conferenza regionale sulla famiglia, che si terrà a Bari il 22 e il 23 novembre prossimi, è «un’ottima opportunità per porre al centro dell’attenzione la famiglia. Sostenere politiche di natalità e di sostegno alla genitorialità sono le leve per poter costruire una società più giusta e per dare un futuro alla nostra regione, al nostro Paese e alla nostra Europa. È in famiglia che i figli imparano l’arte di vivere, la bellezza e la fatica dello stare insieme, la gioia del gioco, la voglia di libertà. Mi aspetto che ci siano delle attenzioni concrete di sostegno reale specialmente nell’ambito dell’istruzione e formazione professionale». Parola di don Francesco Preite, direttore della casa Salesiana Redentore di Bari e direttore generale Cnos-fap (Centro nazionale opere salesiane – Formazione e aggiornamento professionale) Puglia.
«Sostenere la genitorialità – prosegue don Francesco – significa anche poter garantire un livello ottimale di istruzione e formazione professionale ai figli. Credo che sia arrivato il momento di adattare il nostro sistema scolastico regionale ai tempi di oggi e quindi dare spazio alla “intelligenza nelle mani”. I ragazzi apprendono più facilmente quando operano praticamente, e questo è ancora di più vero con i giovani neet. Insomma, accanto al sistema scolastico tradizionale bisogna potenziare l’offerta formativa professionale».
I numeri – secondo lui – parlano chiaro. «A fronte di una disoccupazione giovanile (15 -24 anni) continentale che si attesta intorno al 19,3%, in Italia si tocca il 31,7% . (Dati Istat commentati dal Il Sole 24 ore del 7 maggio 2018). Al Sud la disoccupazione giovanile è intorno al 50%, in Puglia è al 52.4% (dati Eurostat commentati da La Repubblica del 28 aprile 2018). C’è anche però una buona notizia: l’abbandono scolastico in Italia si è ridotto nel 2017 al 14% (nel 2008 era al 20%). È evidente che il divario Nord e Sud in Italia sia presente anche in queste statistiche, con proporzioni molto simili a quelle raccontate per la disoccupazione giovanile (la dispersione scolastica al Sud è al 18,5%).
Notiamo una correlazione tra abbandono scolastico, disoccupazione e reddito pro capite. Nel senso che abbandono scolastico sopra la media, disoccupazione giovanile alta e reddito medio pro capite basso sono tre fenomeni che tendono ad accompagnarsi.
La formazione professionale può essere una leva di riscatto per i giovani, perché insiste proprio su questi tre dati negativi cercando di invertire la rotta».
Ma come invertirla, questa rotta? «Bisogna che ognuno si assuma delle responsabilità, ascolti e condivida le proposte. Formare i giovani per il mondo del lavoro è un’esigenza primaria per una Regione come la Puglia, che vuole investire nel presente e dare futuro ai suoi ragazzi. In Italia, in questo decennio, accanto a un’offerta “scolastica” strutturata e consolidata, è cresciuta un’offerta “formativa” che risponde ugualmente alle attese anche occupazionali del giovane. Bisogna sviluppare e mettere a sistema questa offerta formativa anche in Puglia.
Il sogno per la Puglia è che un giovane in obbligo formativo che sceglie di frequentare un Centro di formazione professionale (Cfp) possa conseguire una qualifica professionale dopo un percorso formativo di durata triennale e, se lo desidera, un diploma professionale dopo un ulteriore anno di formazione e un diploma tecnico superiore dopo un ulteriore periodo di specializzazione. In altre parole, chiediamo alla Regione Puglia che la proposta di Istruzione e Formazione professionale (IeFP) possa essere erogata dai Centri di formazione professionale in maniera più stabile e strutturata.
Questa è la premessa per poter fare altre due proposte operative: la prima la rivolgiamo alla Regione Puglia ed è quella di rendere stabile e completa la filiera formativa verticale della IeFP, potenziando il IV anno e l’anno di specializzazione. La seconda è rivolta alle Istituzioni sia regionali che comunali e statali ed è che le Politiche attive del lavoro possano avvalersi non solo dei Centri per i’impiego (Cpi) ma anche dei Centri di formazione professionale (Cfp) per erogare servizi di orientamento e placement. Entrambi, valorizzati in maniera sistemica, possono essere una “rete nazionale” per lo sviluppo della Formazione Professionale e delle Politiche attive del lavoro.
Un’altra questione fondamentale per la crescita del giovane e la formazione professionale è il rapporto con le imprese. L’elevata rapidità dell’evoluzione tecnologica e della conseguente organizzazione aziendale rende strutturale il fabbisogno di competenze difficilmente rintracciabili in esito ai tradizionali percorsi di istruzione. In tal senso, il sistema degli Enti di Formazione Professionale rappresenta per le imprese un partner strategico per lo sviluppo del capitale umano. Ciò vale per le attività di ricerca e selezione di personale qualificato, per la formazione di primo inserimento lavorativo, anche in apprendistato, per la formazione continua del personale dell’impresa. La proposta è mettere a sistema l’alleanza tra enti di formazione e imprese attraverso una “Accademia del lavoro” che renda strutturali i rapporti di collaborazione tra aziende e Cfp, ciascuno in coerenza con le proprie finalità».
Idee chiare e proposte concrete, insomma, che saranno portate sui tavoli della Conferenza. Quali sono le aspettative?
«Il Sud e la Puglia investono molto poco nelle politiche di formazione professionale – conclude don Francesco -, che invece potrebbero essere un ottimo volano per contrastare la dispersione scolastica, creare occupazione, promuovere la cultura del lavoro, far crescere l’economia regionale. Bisogna che la politica investa maggiormente per i giovani e i minori in obbligo formativo, che sono i nuovi poveri della nostra società. Mi auguro che il piano regionale per la famiglia recepisca l’urgenza di mettere al centro la formazione professionale come spazio di ascolto concreto al grido di maggiore dignità e lavoro che i giovani chiedono. Solo un ascolto attento e partecipato dei giovani e delle realtà che lavorano con e per i giovani può portare ad una speranza concreta. La prassi di fare politiche non solo “per”, ma “con” i giovani permette di costruire insieme il presente e il futuro della regione. Essi sono portatori di novità che, se orientate, accompagnate e sostenute, possono promuovere una qualità migliore della vita non solo personale ma anche comunitaria, accrescendo il benessere sociale ed economico».
Nov 17, 2018 | Approfondimenti
Proseguono le interviste di approfondimento che ci porteranno, giovedì e venerdì prossimo, alla I Conferenza regionale sulla famiglia.
Un grande risultato ottenuto dal Forum delle associazioni familiari di Puglia anche grazie alla mozione votata all’unanimità dal Consiglio regionale lo scorso luglio, che ha avuto come primo firmatario il consigliere Nicola Marmo.
Cosa in particolare l’ha convinta che era indispensabile indire la Conferenza?, gli abbiamo chiesto.
«La drammatica situazione che sta caratterizzando la Puglia dal punto di vista socio demografico. I dati sono impressionanti: secondo gli ultimi studi, in Puglia è in atto un preoccupante e costante calo delle nascite (da 40mila a 31mila nel periodo 2003-2016, pari al -21%), con soli 7,6 nati per mille abitanti l’anno. Se a questo aggiungiamo che in 15 anni, dal 2002 al 2017, i giovani pugliesi con età compresa tra i 0 e i 24 anni sono diminuiti di circa 227mila unità e nei prossimi dieci anni si prevede un calo di altre 145mila, ci rendiamo conto che ben presto la Puglia diventerà un deserto. La conferenza è indispensabile per stimolare una riflessione seria all’interno dell’opinione pubblica e sopratutto far aprire gli occhi a chi governa e ha il dovere di intervenire».
Qual è secondo lei il problema più urgente da risolvere per le famiglie pugliesi?
«Non c’è un problema più urgente degli altri, sono tutti urgenti e devono essere affrontati in un’ottica di sistema. Questo è il punto, per troppo tempo si è parlato di famiglia come se fosse un’entità astratta, disarticolata dal contesto, dimenticandosi che le famiglie sono fatte da persone. Non si contano più le dichiarazioni in merito a misure per la famiglia, come se bastasse intervenire su uno specifico aspetto per risolvere il problema. Istruzione, lavoro, sanità, servizi, infrastrutture, sono tutti elementi su cui l’Italia e la nostra Regione sono in grave ritardo ed è necessario invertire la rotta. In questo modo tornerebbe ad avere senso parlare di sostegno alle famiglie».
Cosa si aspetta dalla Conferenza?
«Dalla conferenza mi aspetto contributi importanti in termini di analisi e proposte pratiche. Mi auguro che sia un importante punto di partenza per iniziare appunto a invertire la rotta e a mettere in atto tutta una serie di misure per ricreare le migliori condizioni, utili a sostenere le famiglie e a consentirne la nascita di nuove. Da parte mia ci sarà il massimo impegno in Consiglio regionale per far sì che quello che emergerà dalla Conferenza non sia dimenticato o messo in secondo piano dal Governo regionale».
Nov 16, 2018 | Approfondimenti
Comincia oggi il nostro percorso di avvicinamento alla I Conferenza regionale sulla famiglia, che si terrà a Bari il 22 e il 23 novembre prossimi. Sarà un’occasione per creare dal basso, attraverso le proposte e le buone prassi delle associazioni e dei pugliesi, il nuovo Piano pluriennale di politiche familiari.
Finalmente una prima risposta concreta alle istanze che il Forum delle famiglie, sia a livello nazionale sia a livello locale, cerca di imporre da tempo alla politica e alle istituzioni. «Questo appuntamento rappresenta – dice in proposito il presidente Gigi De Palo – uno dei frutti più significativi della terza Conferenza nazionale sulla famiglia, che il Forum nazionale ha organizzato nel settembre dello scorso anno: un primo passo importante, perché segna l’avvio di un percorso di confronto più stretto con le istituzioni pubbliche – in questo caso della Puglia – e consentirà di creare un dialogo costante, con l’obiettivo di realizzare un Piano di politiche familiari regionale che incida nella vita delle famiglie. È un punto di partenza per ribadire l’urgenza di un PattoXnatalità che rimetta al centro la famiglia e la natalità».
“Le politiche a sostegno delle famiglie e la sfida della denatalità” è infatti il titolo della due giorni, che darà il via al processo partecipativo (con l’applicazione della Legge 13 luglio 2017, n. 28) al termine del quale la Regione dovrà legiferare in materia. Si tratta della prima esperienza in tal senso in Italia.
«Tra le ricadute più positive di questo evento c’è senza dubbio la novità di un primo “solco” che viene scavato – prosegue De Palo -, un esempio che altre realtà regionali potranno seguire nel promuovere e diffondere i temi del PattoXnatalità proposto dal Forum. E, anzi, in molti casi stanno già seguendo, con la previsione di organizzare iniziative analoghe in altre parti dello Stivale. Un segnale importante, perché proviene dal basso, dal cuore pulsante del Paese reale. Un messaggio forte allo Stato: gli Enti locali hanno capito che la famiglia è il motore dello sviluppo economico, sociale, etico e anche politico. Chi tocca con mano le difficoltà, le necessità, ma pure le potenzialità e il contributo quotidiano dei nuclei familiari se n’è reso conto, è giunto il momento di lavorare tutti insieme, a livello locale e statale, per costruire la comunità nazionale del futuro. E siamo chiamati tutti ad agire: politica, istituzioni, società civile, enti economici, non ultimi i mass media».
Insomma, quello pugliese è un primato importante, che porta con sé grandi responsabilità.
«L’indicazione che giunge da Bari, ancor prima dell’inizio della Conferenza, è che finalmente inizia a esserci attenzione, responsabilità, soprattutto consapevolezza crescente che è tempo di mettere mano alle ingiustizie fiscali e alle cause principali che hanno prodotto, negli ultimi anni, un costante calo delle nascite nel nostro Paese, cui la Puglia purtroppo non fa eccezione – conclude De Palo, che sarà ospite nella prima giornata della Conferenza -. Non è più il tempo di fare polemica ideologica, è il momento di parlare di natalità perché le famiglie sono distrutte, provate da anni di disinteresse. Ecco perché ribadisco che bisogna dare la priorità a un PattoXnatalità tra tutte le componenti del nostro Paese. Da questo punto di vista, il mio auspicio è che s’inizi concretamente a porre rimedio alle carenze endemiche nelle politiche familiari: dalla rivoluzione fiscale alla conciliazione lavoro-famiglia, dal sostegno della donna incinta – emarginata e discriminata sul posto di lavoro come nella società – al potenziamento dei servizi per le famiglie sul territorio, al supporto alle coppie che vorrebbero avere figli, ma sono spaventate dalle difficoltà economiche e lavorative che tale scelta comporterebbe. Sono particolarmente contento di essere presente a questo appuntamento, perché si parlerà di problemi concreti e si ragionerà di misure tangibili per rendere giustizia al ruolo fondamentale che la famiglia da sempre riveste nel nostro Paese».
Ott 29, 2018 | Approfondimenti
Torna all’odg del Consiglio regionale pugliese domani 30 ottobre il ddl n.253/17 “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere”.
Già durante le audizioni davanti alle competenti commissioni consiliari numerose erano state le voci, competenti e qualificate, che avevano messo in evidenza le criticità del provvedimento; ad esse, nelle ultime settimane, si sono aggiunte quelle di docenti universitari, tecnici, società civile, e di esponenti di associazioni di genitori di persone omosessuali.
Come Forum delle Associazioni Familiari di Puglia vogliamo ribadire la nostra contrarietà al ddl in oggetto, non evidentemente rispetto alla finalità generale, ma rispetto al merito e al metodo.Siamo da sempre contro ogni forma di discriminazione, riconoscendo in ogni persona umana, in qualunque momento della sua vita e in qualunque condizione, un valore da tutelare.Ma è veramente questa la finalità del ddl?
Illustri pedagogisti e scienziati dell’educazione hanno ripetutamente sottolineato che se si vuole operare contro ogni forma di discriminazione, il primo fondamentale impegno deve essere di tipo educativo, aiutando le nuove generazioni alla relazione con l’altro, diverso da sé per caratteristiche o limiti fisici, per razza, sesso o religione, e quindi a un atteggiamento inclusivo. C’è bisogno di accogliere e comprendere le singole persone, non di incasellarle in categorie – obeso, straniero, disabile, omosessuale –, queste sì discriminanti.
In questo senso, l’approccio del ddl è profondamente sbagliato, visto che individua in modo esclusivo le persone omosessuali come oggetto di discriminazioni da prevenire (art. 1); così facendo , esso discrimina fra discriminati e prescinde da un fondamentale lavoro educativo che dovrebbe avere come protagoniste la famiglia e la scuola. In realtà (art. 3), rispetto alla scuola, il ddl prevede che la Regione promuova interventi formativi su docenti, genitori e studenti in merito alla prevenzione dell’omofobia. Questa NON è materia di competenza regionale.
Il Parlamento nazionale, approvandola legge di riforma della scuola n. 107/2015, ha inserito nel curricolo scolastico l’obiettivo formativo della “educazione alla parità tra i sessi” come prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni. Inoltre, le Linee guida nazionali assunte dal Ministro competente dopo qualche mese, dal titolo “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione”, intendono avviare un piano di formazione del personale docente che nella sua ordinaria attività di insegnamento deve puntare al raggiungimento di quell’obiettivo. Perché quindi la Regione Puglia vuole sostituirsi allo Stato in questa funzione che non le appartiene? E per di più, vuole farlo solo per una circoscritta categoria di discriminazioni? Non rischia, questo disegno di legge, di apparire esso stesso come un intervento che discrimina le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere rispetto a tutte le altre violenze e/o omissioni, normalmente dimenticate? Sarebbe ancora da chiedersi perché duplicare gli interventi in questo ambito, con il rischio di sovrapposizioni e confusioni in una materia che richiede chiarezza e univocità negli obiettivi e nei metodi.
D’altro canto, gli orientamenti nazionali promuovono e valorizzano il rafforzamento dell’alleanza educativa fra famiglia e scuola, confermando la primaria responsabilità educativa dei genitori, riconosciuta dalla Costituzione e da tutti i più recenti atti del Miur. Perché il testo del ddl regionale va nella direzione opposta, individuando nei genitori solo dei meri destinatari di presunte iniziative formative, organizzate non si sa da chi , con quali contenuti e metodi e in base a quale riconosciuto protocollo scientifico?
Questo testo dimentica inoltre che da circa 15 anni esiste l’autonomia scolastica e rischia di violarla. Decisioni in merito spettano infatti agli organi collegiali di ogni singolo istituto e non possono essere prese né dalla Regione né dall’Usr.
Il testo del ddl fa uso della contrapposizione “sesso biologico – genere sociale”, e parla di “sesso assegnato alla nascita”. In realtà una persona nasce con un corpo sessuato, per poi interiorizzarlo psichicamente nei primi anni di vita nell’ambito di un complesso processo di elaborazione della propria identità. La locuzione “sesso assegnato alla nascita” fa riferimento aun assioma non esplicitato, secondo il quale il genere sociale risulterebbe essere una variabile indipendente rispetto al sesso biologico: è la base della cosiddetta ideologia “gender, ”pensiero rifiutato in modo deciso e pressoché unanime dalle scienze naturali, oltre che in netto contrasto con quanto vissuto a livello sensoriale dalla stragrande maggioranza dei cittadini comuni.Ci permettiamo di ricordare che le succitate Linee Guida della legge 107 dichiarano esplicitamente che ogni riferimento all’ideologia gender deve essere escluso dalla scuola e dal suo lavoro educativo.
La genericità del ddl e la mancanza di indicazioni chiare circa le azioni da esso previste continua nell’art.5, dove si parla di formazione di personale sanitario e socio-sanitario, senza però che siano chiaramente indicati i soggetti dell’azione formativa, i contenuti e i metodi di tale azione ed i protocolli scientifici a cui essa dovrebbe far riferimento.
In realtà, tutto si chiarisce leggendo l’articolo 7 delddl,doveè scritto che al Tavolo che la Regione dovrebbe istituire per governare le azioni previste dal ddl dovrebbero sedere ben sei rappresentanti delle associazioni Lgbt, oltre a delegati del mondo sindacale e delle associazioni datoriali. E le associazioni familiari? E le associazioni di genitori e insegnanti? Non è sull’alleanza attiva fra scuola e famiglia che dovrebbe basarsi ogni azione di educazione alla relazione e al rispetto dell’altro?
La Regione in pratica “appalterebbe” alle associazioni Lgbt la gestione pratica delle azioni previste dal ddl e dei relativi finanziamenti, discriminando altri soggetti ( la famiglie, la scuola , i media, le agenzie educative, la stessa comunità ecclesiale…) fondamentali dal punto di vista educativo , nonché le associazioni delle persone omosessuali o di loro familiari che non si riconoscono nella cultura delle associazioni Lgbt.
Il ddl 253 del 2017 – ed è questa la più dolorosa osservazione dei genitori di figli omosessuali e transessuali – propone di tutelare soltanto una parte delle persone omosessuali e conidentità di genere diversa, ossia coloro che si identificano con la sigla Lgbti. Esiste infatti un alto numero di persone omosessuali e lesbiche le quali, pur provando attrazione per lo stesso sesso, non si definisce come persona in base al proprio orientamento sessuale secondo le sopraccitate o altre sigle, e che NON individua nell’atteggiamento omofobico della società , per fortuna limitato sia in Italia che in Puglia, la causa prevalente del disagio vissuto.Ci sono forse omosessuali di serie A ed altri di serieB?
L’articolo 2 del ddl prevede inoltre “misure di accompagnamento in grado di supportare le persone che risultino discriminate (…) per il loro orientamento sessuale o dall’identità di genere, nella individuazione e costruzione di percorsi di formazione ed inserimento lavorativo”.
In una regione come la nostra, caratterizzata dalle continue migrazioni dei giovani alla ricerca di un posto di lavoro , perché non fare altrettanto per i nostri ragazzi e in particolare per le donne che tentano di inserirsi nel mondo del lavoro, specialmente se in epoca fertile o addirittura in gravidanza? Vogliamo far finta di non sapere quante dimissioni in bianco vengono fatte firmare dalle ragazze in procinto di essere assunte per essere utilizzate in caso di gravidanza? Non è discriminazione questa? E perché non viene sanzionata dal ddl? Evitiamo dunque che dalla discriminazione si passi al privilegio.
C’è un’ultima domanda che vorremmo porre alla politica, nel momento in cui si appresta a discutere e a votare il ddl 253. Che cosa intendete per omofobia?
Il termine nel ddlè utilizzato in modo estremamente generico, con il rischio di lasciare ampio spazio a interpretazioni soggettive.
Se contrastare l’incitamento all’odio, le dichiarazioni di intolleranza, tutte le forme di discriminazione è obiettivo di ogni persona civile, il problema del ddl consiste nella difficoltà di precisare i confini di questo concetto: forse saranno da considerare omofobe le persone che si esprimono contro la Gpa (Gestazione per altri)? O quelle che ritengono che il matrimonio debba essere celebrato solo fra un uomo ed una donna?
È proprio la genericità del ddl che mette a rischio una sua attuazione equilibrata, democratica e rispettosa della pluralità degli orientamenti culturali.
Ce ne dà conferma la lettura dell’articolo 8,in netto contrasto con i princìpi chiaramente espressi nell’art. 21 della Costituzione Italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…”.
Se il testo del succitato art.8 del ddl regionale intende far riferimento a reati, si ricorda che essi sono chiaramente sanciti e perseguibili dal codice penale, e nel caso di riconoscimento di danni a persone offese, anche dal codice civile. Né è possibile che una legge regionale introduca “pene” che discriminerebbero i giornalisti della nostra regione dai giornalisti di altre regioni italiane.Dunque,l’attuale stesura dell’art. 8 in questione appare decisamente un “bavaglio preventivo” non solo inaccettabile, ma anche improponibile sul piano del rispetto dei princìpi democratici.
Proponiamo all’intero Consiglio regionale queste considerazioni, appellandoci alla ragione di ciascuno perché il ddl 253717 venga bocciato, almeno nella sua forma attuale.