Ott 16, 2018 | Approfondimenti
Una proposta di legge nata probabilmente da buone intenzioni, ma che affronta il problema – ammesso che di problema si tratti – da un punto di vista completamente sbagliato.
È questa l’opinione condivisa sul ddl n. 253 sulle “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere”, cosiddetto antiomofobia, approvato dalla Giunta regionale nel novembre 2017 e previsto in discussione in Consiglio oggi 16 ottobre, nonostante sia stato dichiarato incostituzionale dallo stesso ufficio legislativo della Regione e abbia ricevuto il parere negativo del Corecom.
«Per toccare aspetti così delicati – dice in merito la professoressa Loredana Perla, docente di Didattica e Pedagogia speciale presso il Dipartimento di Scienze della formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari – non bisogna infatti partire dalla criticità. Piuttosto avere un approccio educativo, specie nei confronti dei giovani, sull’educazione affettiva ai sentimenti e alle emozioni; con un’apertura tale da costruire un rapporto di fiducia, in cui gli adolescenti si sentano liberi di far emergere serenamente nel dialogo con gli adulti (siano essi genitori, insegnanti o educatori) eventuali elementi problematici.
Dire che esiste un problema è il modo peggiore per affrontarlo. Tutte le teorie pedagogiche sono orientate in questo senso».
Ne è convinto anche Michael Galster, presidente nazionale dell’Agapo (Associazione genitori e amici di persone omosessuali). «I ragazzi – dice – devono uscire da una visione infantile-narcisistica-autoreferenziale e imparare a rapportarsi con chi è diverso». Siamo tutti a nostro modo diversi: chi per una caratteristica o un difetto fisico, chi per provenienza, chi per religione. «Bisogna sapersi raffrontare con l’Altro senza etichettarlo. C’è bisogno di accogliere e comprendere le singole persone, non di incasellarle in categorie – obeso, straniero, omosessuale – che discriminano».
Fondamentale nel percorso di accettazione di sé e del mondo che ci circonda è il ruolo della scuola. «La scuola prima non dava spazio alle emozioni – prosegue la professoressa Perla -, ora invece sì. L’educazione agli affetti può attingere alla cultura, alla letteratura, alla poesia, le quali offrono mille spunti per far ragionare i ragazzi.
Esistono iniziative ministeriali lodevoli sulla formazione degli insegnanti all’educazione dell’affettività. Questa educazione si deve solo “quotidianizzare”, ribadendo il concetto che “insegnando io posso educare”.
In tal senso, come ricorda la professoressa Lucrezia Stellacci, presidente regionale dell’Uciim (Associazione nazionale docenti, dirigenti, formatori, educatori cattolici), «il Parlamento nazionale, approvando l’ultima legge di riforma della scuola (la 107 del 2015), ha inserito nel curricolo scolastico l’obiettivo formativo della “educazione alla parità tra i sessi” come prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». Inoltre, «le Linee guida nazionali assunte dal Ministro competente dopo qualche mese, dal titolo “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione” intendono per l’appunto avviare un piano di formazione del personale docente che nella sua ordinaria attività di insegnamento deve puntare al raggiungimento di quell’obiettivo, indicato nella legge 107 e poi analiticamente chiarito nelle successive Linee guida. Perché – si chiede dunque la professoressa Stellacci, interpretando un pensiero comune – la Regione Puglia vuole sostituirsi allo Stato in questa funzione che non le appartiene? E per di più, vuole farlo solo per una circoscritta categoria di discriminazioni? Non rischia, questo disegno di legge, di apparire esso stesso come un intervento che discrimina le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere rispetto a tutte le altre violenze e/o omissioni, normalmente dimenticate? Sarebbe ancora da chiedersi perché duplicare gli interventi in questo ambito, con il rischio di sovrapposizioni e confusioni in una materia che richiede chiarezza e univocità negli obiettivi e nei metodi».
Il rischio paradossalmente è «che si suscitino reazioni negative e contrapposizioni – spiega il presidente Agapo -. Se si parte dal presupposto che nelle scuole ci sia discriminazione, questa è un’implicita accusa ai ragazzi, i quali o la subiscono tacitamente, non esprimendo più se stessi o – peggio – reagiscono negativamente. Quando non è ben definito cosa è discriminazione, si può intendere che ciò riguardi anche chi ha un’opinione diversa». Anche l’Osservatorio previsto dalla legge non sarebbe «rappresentativo: non ci sono i genitori, né la scuola, né le istituzioni».
«La discriminazione va combattuta tout court – prosegue Galster -, non rispetto a un solo gruppo specifico. Tra l’altro ci sono persone che non si riconoscono nelle sigle Lgbti, persone che si vogliono relazionare con gli altri come uomini o come donne, non in base alle proprie preferenze erotiche e sessuali. Ciò non significa nascondersi, semplicemente non essere obbligati ad assumere un’identità – quelle lgbti – in cui non ci si riconosce».
Un altro limite, secondo Galster, è l’eccessiva genericità del ddl. «In formulazioni così poco definite ci si può inserire dentro tutto e il contrario di tutto». Rispetto per esempio agli interventi previsti nell’articolo 2 e atti a garantire la formazione e riqualificazione professionale e l’inserimento lavorativo, il presidente Agapo ricorda che «per fortuna le persone omosessuali hanno mediamente un successo lavorativo non inferiore agli altri».
Insomma, dire (come scritto nel ddl) che esiste il problema omofobia significa rendere clinica la questione», mentre il lavoro da fare dev’essere «squisitamente educativo», conclude la professoressa Perla.
Set 6, 2018 | Approfondimenti
Una legge che opera in difformità rispetto ai princìpi fondamentali dello Stato e incorre in palesi vizi di illegittimità costituzionale.
Questo è per il Forum delle Famiglie di Puglia il ddl n. 253 del 14/11/2017 sulle “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere” approvato dalla Giunta regionale. È un’opinione già espressa con chiarezza durante l’audizione in Commissione consiliare il 18 gennaio scorso.
Il testo si limita infatti a contrastare e sanzionare solo le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, escludendo tutte le altre numerose ed egualmente rilevanti forme di discriminazione, violando così i princìpi di eguaglianza e imparzialità sanciti dalla Costituzione.
Non capiamo il motivo per cui, per esempio, gli interventi della Regione previsti nell’articolo 2 e atti a garantire la formazione e riqualificazione professionale e l’inserimento lavorativo, non debbano essere indirizzati anche in favore dei ragazzi che vivono situazioni di marginalità sociale; dei disabili che dopo i 18 anni scompaiono dalla vita civile per le difficoltà che le loro famiglie incontrano; delle donne costrette a dimettersi in caso di maternità; dei giovani pugliesi che devono lasciare la loro terra per cercare un’occupazione altrove. Cosa impedisce al Governo regionale di proporre un’azione coordinata contro ogni forma di discriminazione anziché un testo parziale che trasforma un diritto di tutti in un privilegio per qualcuno?
Nell’articolo 3, inoltre, che prevede corsi di aggiornamento antiomofobia nelle scuole per studenti, docenti e famiglie, non c’è traccia della salvaguardia della primaria responsabilità educativa dei genitori nei confronti dei propri figli, sempre prevista dalla Costituzione, e della comune costruzione di buone prassi educative fra scuola e famiglia, così come già previsto dalle Linee guida nazionali del Miur “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione” e dalla Legge 107/2015 sulla Buona scuola. Insomma, se gli orientamenti nazionali promuovono e valorizzano il rafforzamento dell’alleanza fra le due principali agenzie educative, famiglia e scuola, il testo del ddl regionale va nella direzione opposta. Dunque ci chiediamo: chi dovrebbe organizzare e tenere questi corsi? In base a quali criteri saranno individuati enti e associazioni idonei? Quali contenuti saranno proposti e veicolati?
Infine lasciano molto perplessi le misure in materia di informazione e comunicazione contenute nell’articolo 8, che prevede il costante controllo del Corecom sull’eventuale presenza di contenuti discriminatori nella programmazione televisiva e radiofonica, anche commerciale e pubblicitaria. Si corre infatti il rischio di violare l’articolo 21 della Costituzione, che garantisce a tutti la “libertà di pensiero e di parola”, e che al comma 2 precisa come la stampa non possa “essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Insomma, a una lettura attenta sembra un ddl viziato da un macroscopico “eccesso di potere“, che gli fa oltrepassare l’ambito della potestà legislativa regionale consentito dalla Carta Costituzionale e dalle leggi statali.
Set 6, 2018 | Approfondimenti
In merito al ddl n. 253 del 14/11/2017 sulle “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere”, approvato dalla Giunta regionale e in discussione oggi in III Commissione consiliare, di seguito proponiamo il contributo dell’Uciim (Associazione nazionale docenti, dirigenti, formatori, educatori cattolici) Puglia, a firma della presidente Lucrezia Stellacci.
«Perché la Regione insiste nel voler approvare il Disegno di legge n.253/2017 “contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”?
Anche se il proposito, esplicitato in premessa del disegno di legge regionale n. 253 (nel seguito : Ddlr), di volersi allineare alla “legislazione nazionale ed europea in materia di diritti fondamentali delle persone, in attuazione dei princìpi costituzionali di uguaglianza formale e sostanziale e pieno sviluppo della persona umana…” è lodevole, atteso che il grado di civiltà di un paese si misuri sulla capacità di combattere le discriminazioni, sotto qualunque forma esse si presentino,la rapida conversione operata nell’articolato del Ddlr ci ha molto delusi, oltre a interrogarci sulle ragioni di interesse pubblico che avrebbero convinto la Giunta regionale a ipotizzare un simile intervento legislativo come necessario e improcrastinabile per i cittadini pugliesi.
Evidentemente i vertici politici regionali avvertono la presenza nella popolazione pugliese di pregiudizi omofobici che vanno ben al di là della comune percezione, che, al contrario, non fa registrare allarmismi di alcun genere al riguardo, a differenza di altre categorie di fragilità, spesso denunciate e altrettanto spesso ignorate.
Prevedere risorse pubbliche regionali da dedicare alla promozione, organizzazione e sostegno di attività di formazione per gli insegnanti e per tutto il personale scolastico delle scuole di ogni ordine e grado, estensibili anche ai genitori e agli studenti stessi, come dichiara l’art.3 del Ddlr,significa legiferare in materie che non rientrano nella competenza della Regione, bensì dello Stato.
Infatti, il Parlamento nazionale (a seguito della ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, che nell’art.14 assegna alla scuola un ruolo fondamentale), approvando l’ultima legge di riforma della Scuola, legge n.107/2015, ha inserito nel curricolo scolastico l’obiettivo formativo della “educazione alla parità tra i sessi” come prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni.
Le Linee Guida Nazionali assunte dal Ministro competente dopo qualche mese, dal titolo “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione” intendono per l’appunto avviare un piano di formazione del personale docente che nella sua ordinaria attività di insegnamento deve puntare al raggiungimento di quell’obiettivo, indicato nella legge 107 e poi analiticamente chiarito nelle successive Linee guida.
Perché la Regione Puglia vuole sostituirsi allo Stato in questa funzione che non le appartiene? E per di più, vuole farlo solo per una circoscritta categoria di discriminazioni? Non rischia, questo disegno di legge, di apparire esso stesso come un intervento che discrimina le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, rispetto a tutte le altre violenze e/o omissioni, normalmente dimenticate?
Sarebbe ancora da chiedersi perché duplicare gli interventi in questo ambito, con il rischio di sovrapposizioni e confusioni in una materia così delicata e complessa che richiede chiarezza e univocità negli obiettivi e nei metodi. La conseguenza più probabile potrebbe essere quella di un ennesimo inutile sperpero di risorse pubbliche.»
Mar 28, 2018 | Approfondimenti
PROTOCOLLO DI INTESA
TRA
ll Forum Provinciale delle Associazioni Familiari di Lecce con sede in via Lucrezio Caro, 23 a Cavallino (LE), Presidente Maria Assunta Corsini, in qualità di legale rappresentante
E
L’Istituto Comprensivo Polo 2 “Vittorio Bodini” di Monteroni
l’Istituto Comprensivo Polo 2 di Veglie
La D.D. 1° Circolo “Principe di Piemonte” di Maglie
l’I.I.S.S “E. Vanoni” di Nardò
l’I.I.S.S. “E. Medi” di Galatone
il Liceo Scientifico “G.C. Vanini” di Casarano
l’I.I.S.S. “A. De Viti de Marco” di Casarano
l’I.I.S.S. “G. Salvemini” di Alessano
PREMESSA
Il Forum Provinciale delle Associazioni Familiari – Comitato di Lecce è un ’APS nata il 13 giugno 2011 CF 93067150750, con sede legale in Via Lucrezio Caro, 23 – Cavallino (LE).
Il Forum delle Associazioni Familiari si articola in diversi livelli organizzativi, Nazionale, Regionale, Provinciale e Comunale.
D’ora in poi il solo Forum Provinciale di Lecce sarà denominato “Forum”.
Dallo Statuto del Forum Nazionale:
Si considerano familiari quelle associazioni e organismi:
i cui Soci vi appartengono in ragione dei loro ruoli familiari (genitori, utenti di servizi forniti alle famiglie) che hanno nel loro statuto, o tra le finalità qualificanti, la tutela e/o la promozione dei diritti della famiglia, anche mediante la prestazione di servizi ad essa diretti.
Il Forum è apartitico e non persegue fini di lucro.
TUTTO CIO’ PREMESSO LE PARTI CONVENGONO QUANTO SEGUE
ARTICOLO 1
Le premesse sono parte integrante del presente atto
ARTICOLO 2
(FINALITA’)
Il Forum Nazionale intende perseguire, fra le altre, le seguenti finalità:
a) la promozione e la salvaguardia dei valori e dei diritti della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” (Costituzione Italiana, 27 dic. 1947, articoli 29,30,31);
b) il sostegno della partecipazione attiva e responsabile delle famiglie alla vita culturale, sociale e politica, alle iniziative di promozione umana e dei servizi alla persona, attraverso le loro forme associative;
c) la promozione di una maggiore informazione e divulgazione delle buone pratiche di cura, assistenza e benessere psico-fisico a favore della collettività in genere ed in particolare alle persone più deboli (bambini, donne, anziani, malati e disabili).
Il “Forum” in coerenza con i diversi livelli organizzativi dello stesso su più ampia scala, regionale e nazionale, dedica inoltre particolare attenzione al ruolo fondamentale esercitato dalle Istituzioni Scolastiche nello sviluppo dei minori e degli adolescenti, anche e soprattutto in collaborazione con le famiglie.
ARTICOLO 3
(ATTIVITA’)
Durante lo scorso anno scolastico 2016/17 si è avviato su tutto il territorio nazionale il Progetto “Immischiati a scuola” ideato per promuovere la responsabilità genitoriale all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, che vede come protagonisti i genitori. Proprio a questi ultimi viene chiesto un coinvolgimento attivo nella governance della scuola, la costruzione di alleanze virtuose fra scuola e famiglia, anche attraverso la candidatura dei genitori negli Organi Collegiali Scolastici.
Anche in Provincia di Lecce il “Forum” ha realizzato, ad oggi, quattro eventi-lancio del Progetto, rispettivamente presso l’I.I.S.S. “Vanoni” di Nardò, il Liceo “Vanini” di Casarano, il Liceo “Salvemini” di Alessano e l’I.C. “V. Bodini” di Arnesano. Tutti e quattro gli eventi hanno registrato una grande partecipazione della componente genitori delle scuole ospitanti e di quelle viciniori.
Durante la seconda annualità del progetto, il “Forum” propone alle scuole delle azioni di informazione e formazione rivolte ai genitori, consistenti in simulazione di riunioni negli Organi Collegiali, quali Consigli d’Istituto, Consigli di Classe, momenti di formazione su diritti e doveri delle diverse componenti scolastiche nel rispetto della normativa vigente in materia, momenti formativi su temi spiccatamente educativi, quali il rapporto genitori-figli, l’educazione socio-affettivo-relazionale in età adolescenziale ed altre iniziative da concordare con le singole Istituzioni scolastiche.
Le iniziative realizzate in sinergia col “Forum” saranno a titolo non oneroso per le Istituzioni scolastiche.
Pertanto, per perseguire le finalità sopra elencate,
le Istituzioni scolastiche e il “Forum”, nel rispetto delle specifiche competenze e ruoli, si impegnano a
- Organizzare insieme le iniziative concordate, anche con le altre scuole della rete;
- favorire la partecipazione dei genitori dei propri alunni alle iniziative;
- coinvolgere, qualora possibile l’Ente Locale e altre realtà del territorio, comprese altre scuole, in cui si svolgeranno le iniziative concordate;
- pubblicizzare le iniziative organizzate,
- collaborare e definire momenti di verifica e monitoraggio delle iniziative poste in essere al fine di migliorare la qualità delle stesse.
ARTICOLO 4
(DIFFUSIONE)
Entrambe le parti si impegnano a divulgare attraverso i propri strumenti informativi, le iniziative intraprese in virtù del presente protocollo, anche al fine di favorire l’adesione e la condivisione delle iniziative con tutti i soggetti interessati.
ARTICOLO 5
(DURATA)
Il presente Protocollo entra in vigore alla data della stipula ed ha durata annuale con scadenza il 31 di agosto.
Alla scadenza il protocollo si intende tacitamente rinnovato.
ARTICOLO 6
(DECADENZA, REVOCA, RECESSO)
In caso di inadempimento, di gravi o di reiterate violazioni di quanto disposto nel presente Protocollo, le parti possono dichiarare la sua decadenza immediata, mediante comunicazione scritta alla controparte adeguatamente motivata.
Qualora si intenda recedere dal presente Protocollo prima della scadenza, la parte interessata deve darne motivata comunicazione notificandola alla controparte almeno 30 giorni prima del termine del recesso.
ARTICOLO 7
(FORO COMPETENTE)
Per ogni controversia il Foro competente è quello di Lecce.
Il presente protocollo può essere integrato in qualsiasi momento da Istituti Scolastici che ne facciano richiesta.
Lecce, 15 febbraio 2018
Mar 19, 2018 | Approfondimenti
L’Unione Cattolica Stampa Italiana di Puglia evidenzia che la stesura dell’art. 8 del ddl della Giunta Regionale Pugliese contro l’omofobia e la transfobia è in netto contrasto con i principi costituzionali chiaramente espressi nell’art. 21 della Costituzione Italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…”.
Se il testo del succitato art.8 del ddl regionale intende far riferimento a reati, si ricorda che essi sono chiaramente sanciti e perseguibili dal codice penale, e nel caso di riconoscimento di danni a persone offese, anche dal codice civile. Né è possibile che una legge regionale introduca “pene” che discriminerebbero i giornalisti della nostra regione dai giornalisti di altre regioni italiane.
L’attuale stesura dell’art. 8 in questione appare decisamente un “bavaglio preventivo” non solo inaccettabile, ma anche improponibile sul piano del rispetto dei princìpi democratici.
Mar 18, 2018 | Approfondimenti
Di seguito il testo dell’audizione della Cisl Puglia dello scorso 15 marzo relativamente al ddl n.253 del 14/11/2017 “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”.
Nel merito del DDL in questione si ritiene preliminarmente opportuno osservare come le norme che si vogliono dettare sulla specifica materia, a giudizio della scrivente, vadano ben oltre la potestà legislativa regionale.
Nel caso di specie, da un esame delle norme del precitato ddl, emergerebbe un quadro normativo che mostra elementi di incertezza intervenendo su aspetti demandati alla competenza esclusiva dello Stato. In particolare, con il ddl in esame si interviene sui c.d. “principi fondamentali” rispetto ai quali non può intervenire da parte delle Regioni alcuna normativa concorrente. Diversi sono gli articoli del ddl che entrerebbero in contrasto con norme costituzionali e leggi statali, che si ispirano appunto ai cosiddetti “principi fondamentali”.
Ad esempio:
1. All’articolo 3 del ddl in questione (che tratta di Istruzione) si interviene nella specifica competenza statale, la quale con riferimento all’art.137 del D.Lvo n.112/98, satuisce che “restano allo Stato i compiti e le funzioni concernenti i
criteri e i parametri per l’organizzazione della rete scolastica”. Oltre che ad apparire in evidente contrasto con il principio fondamentale contenuto nell’art.3 del DPR n.235/2007, che disciplina il “Patto educativo di corresponsabilità”, il quale a riguardo recita: “….è richiesta da parte dei genitori e degli studenti la sottoscrizione di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire diritti e doveri nel rapporto tra l’istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”. Ai sensi delle richiamate discipline statali le norme degli articoli 1 e 2 del DDL non possono essere estese, così come si vorrebbe anche nei confronti dei genitori degli studenti.
Occorre, peraltro, far presente sull’argomento che il principio della non discriminazione è ampiamente contemplato nelle norme del DPR n. 249/1998, che definisce lo “Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria”. Tanto considerato, non può prevedersi, come previsto all’art.3 del ddl in oggetto, ipotesi di attività che integrano o modificano quanto già previsto dalla citata disciplina statale e da quanto è proprio dell’autonoma “convinzione” dei genitori in concerto con gli studenti e i singoli istituti scolastici nell’attuazione del cosiddetto “Patto di Corresponsabilità”.
2. Proprio a proposito si richiama quanto viene indicato nelle “Linee Guida” del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, relativamente all’attuazione della specifica disciplina di cui all’art.1, comma 16 della Legge n.107/2015 che recita: “ Il piano triennale dell’ offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’ educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori”. Le Linee Guida così chiariscono che: “Nell’ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire, fondamentale aspetto riveste l’educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione e la promozione ad ogni
livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione. Si ribadisce, quindi, che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né le “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo”.
Le Linee Guida, nel rilevare, tra l’altro, la rilevanza del “Patto Educativo di Corresponsabilità” tra genitori, studenti e scuola, rappresentano che : “è compito fondamentale affidato ai genitori il partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e formativo dei propri figli esercitando il diritto-dovere contemplato nell’ art. 30 della Costituzione.” e che “…le Famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano Triennale dell’Offerta Formativa”.
All’art. 6, comma 4, che affida alla Regione la possibilità di costituirsi “parte civile” nei procedimenti penali per reati commessi nei confronti delle persone a motivo del loro orientamento sessuale, identità di genere o condizione intersessuale, si palesa un confitto normativo con quanto previsto dall’art.117 della Cost., comma2, che attribuisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione e norme processuali. A tal proposito, si ritiene opportuno valutare anche quanto dettato dall’art. 74 del Codice di Procedura penale (legittimazione all’azione civile) che statuisce quanto segue: “L’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185 codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali nei confronti dell’imputato e del responsabile civile”. Nel corso degli anni la possibilità e la
legittimazione a costituirsi parte civile da parte di altri soggetti o categorie di soggetti è sempre intervenuta con disposizioni contenute in leggi statali. Di conseguenza le Regioni non possono attribuirsi motu propriu una tale
legittimazione.
3. All’art.7 si prevede l’istituzione di un “tavolo tecnico regionale” sulle discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere delle vittime, la cui composizione (con 6 rappresentanti
solo delle Associazioni LGBTI) esclude la partecipazione di altre Associazioni che si occupano di inclusione sociale e che contribuirebbero ad una valutazione equilibrata delle ipotesi di discriminazioni.
4. All’art.8 con il quale si introducono “Misure in materia di informazione e comunicazione”, si rischia addirittura di mettere in discussione il principio del diritto costituzionalmente garantito della “libera manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. In particolare, il comma 2 del citato art.8 attribuendo al CORECOM una funzione di monitoraggio dei contenuti della programmazione televisiva e radiofonica regionale e locale, nonché dei messaggi commerciali e pubblicitari, rischia di incorrere in vari vizi di illegittimità, primo fra tutti appunto la violazione dell’articolo 21 della Costituzione sulla “Libertà di Pensiero e di Parola”, in ragione della quale “la Stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. A questo proposito, si richiamano alla comune valutazione i contenuti dell’art. 3 e 12 del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, n.177 del 31 luglio 2005.
In conclusione, a giudizio della scrivente sul ddl in esame vanno operati approfondimenti di merito sul piano tecnico e giuridico, anche in un confronto interistituzionale, per evitare di intervenire legislativamente su aspetti della specifica materia di esclusiva competenza statale, con la conseguenza di ingenerare conflitti di interesse, dettati da vizi di “Eccesso di Potere”, incorrendo in inevitabili impugnative innanzi alla corte Costituzionale.