«Come genitori con figli omosessuali o transessuali apprezziamo con cuore l’intenzione della Regione Puglia di attivarsi contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere.
Facendo riferimento al ddl n. 253 del 14.11.2017, ci permettiamo tuttavia di portare l’attenzione su una serie di aspetti contenuti nel documento medesimo, i quali potrebbero vanificare una parte dello sforzo che i rappresentanti della Regione Puglia si accingono a intraprendere a tutela delle persone in questione, tra cui i nostri figli». Inizia così il testo redatto da Michael Galster, presidente nazionale Agapo, Associazione genitori e amici di persone omosessuali, che si inserisce nell’ampio dibattito sulla cosiddetta “legge antiomofobia”, recentemente approvata in III e VI Commissione consiliare.
«Notiamo – prosegue Galster – che i termini discriminazione e omofobia nel documento vengono utilizzati in modo generico, con il rischio di lasciare ampio spazio a interpretazioni soggettive. Infatti, non precisando in che cosa consista specificamente la discriminazione nel mondo del lavoro, ad esempio nei diversi settori edile o della moda, l’intervento rischia di perdere ogni sua efficacia o addirittura di produrre effetti opposti. Ci sia permesso operare il paragone con un ipotetico ddl in tema di occupazione e lavoro senza fornire indicazioni in merito alle modalità e all’area su cui si intende intervenire (!).
Contrastare l’”incitamento all’odio, dichiarazioni di intolleranza, tutte le forme di discriminazione” è obiettivo di ogni persona civile. Il vero problema consiste nella difficoltà di precisare i confini di un concetto: nel nostro caso, sono forse omofobi Domenico Dolce e altre persone, quando queste si esprimono contro la Gpa (Gestazione per altri)? È proprio la genericità del ddl che mette a rischio una sua attuazione equilibrata, democratica e rispettosa della pluralità degli orientamenti culturali.
Notiamo un assai problematico uso del concetto “sesso biologico – genere sociale”, nel paragrafo in cui si legge “sesso assegnato alla nascita”. In realtà una persona nasce con un corpo sessuato, per poi interiorizzarlo psichicamente nei primi anni di vita nell’ambito di un complesso processo di elaborazione della propria identità. La locuzione “sesso assegnato alla nascita” si basa su un assioma non esplicitato, secondo il quale il genere sociale risulterebbe essere una variabile indipendente rispetto al sesso biologico, pensiero trattato in modo alquanto controverso nel mondo delle scienze sociali, rifiutato in modo deciso e pressoché unanime dalle scienze naturali, oltre che in netto contrasto con quanto vissuto a livello sensoriale dalla stragrande maggioranza dei cittadini comuni.
Anche il concetto di stereotipo di genere non risulta precisato. Non viene infatti chiarito se con l’espressione “contrasto agli stereotipi di genere” si intenda problematizzare, per esempio, determinati modelli promossi dall’industria della moda in cui si spingono le giovani donne verso comportamenti anoressici oppure se si intende correggere le scelte delle giovani coppie di genitori in merito all’educazione dei propri figli. A tale proposito va tenuto conto che le giovani coppie in genere già non trasmettono più ai loro figli ruoli rigidi del tipo “così deve essere una bambina – così deve essere un bambino” e appare pertanto ridondante rivolgere l’intervento su questo aspetto ai vari ordini di scuola statale (piuttosto ci si dovrebbe rivolgere, ad esempio, all’industria del giocattolo la cui offerta spesso è sì fortemente connotata da stereotipi di genere).
Il ddl 253 del 2017 – ed è questa la nostra più dolorosa osservazione come genitori di figli omosessuali e transessuali – propone di tutelare soltanto una parte delle persone omosessuali e conidentità di genere diversa, ossia coloro che si identificano con la sigla Lgbti. In realtà esiste un numero alto di persone omosessuali e lesbiche le quali, pur provando attrazione per lo stesso sesso, non si definisce come persona in base al proprio orientamento sessuale secondo le sopraccitate o altre sigle. Queste giungono così a subire una doppia discriminazione: quella “tradizionale” a causa di pregiudizi negativi e omofobi a cui si aggiunge quella dell’etichettamento non desiderato. A queste persone vanno pure riconosciute pari opportunità in nome di un pieno e libero sviluppo della persona umana, in attuazione dei principi della Costituzione.
Condividiamo pienamente l’intenzione di fondo del ddl, ossia quella di tutelare le persone Lgbti da ogni discriminazione. Riteniamo tuttavia che, come precisato, il documento risulti eccessivamente generico; ciò in merito a:
– le potenziali modalità di attuazione
– i confini tra discriminazione e legittima opinione
– il modello antropologico condiviso (“sesso assegnato”)
– l’inclusione delle persone omosessuali e con disforia di genere che non si riconoscono nelle categorie delle sigle Lgbti.
Agapo, in base alle Buone Pratiche maturate nel corso della sua lunga esperienza, si rende disponibile, in conformità all’articolo 5 del DDL n. 253/2017, a realizzare “attività e iniziative di informazione, consulenza e supporto in favore delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali, transgender e intersex, dei loro genitori e delle loro famiglie” (comma 1); inoltre ad “attività di formazione specifica di operatrici e operatori dei settori, valorizzando esperienze e competenze maturate dalle organizzazioni operanti nell’ambito del contrasto alle forme di discriminazione e di violenza delle persone, per favorire la condivisione di saperi e competenze tra le figure professionali che operano nei servizi sia pubblici che privati” (comma 2)», conclude Galster.