Gli ultimi dati Istat sulle nascite in Italia documentano in modo sempre più drammatico la diffusa denatalità che coinvolge tutto il nostro Paese e il Mezzogiorno in particolare. Ad essi si aggiunge il recente studio Ocse sul mercato del lavoro, secondo il quale nel 2050 in ci saranno più pensionati che lavoratori, che naturalmente dovranno essere sostenuti da questi ultimi.
Di anno in anno stiamo inanellando record negativi circa il numero delle nascite, che hanno ormai raggiunto livelli ampiamente inferiori a quelli registrati durante la seconda guerra mondiale e addirittura all’epoca dell’Unità d’Italia. E le previsioni per il futuro non sono certo rosee, poiché la denatalità, che l’Italia ha iniziato a far registrare dagli anni ’70 del secolo scorso, ha ormai ridotto numericamente il contingente degli uomini e soprattutto delle donne in età fertile.
In questo contesto, si è capovolto completamente lo stereotipo che voleva le regioni meridionali le più prolifiche d’Italia. La Puglia, in particolare, ha fatto registrare nel 2018 solo 28.921 nuovi nati, numero nettamente inferiore alla più pessimistica delle previsioni fatte dai demografi. Attualmente nella nostra regione il numero di figli per donna è di 1.25 (contro una media nazionale dell’1.32).
La conseguenza è una riduzione della popolazione dell’1.02%, con un picco del 5,9% nella fascia d’età tra gli zero e i 14 anni. I nuovi nati sono stati l’8.4% in meno rispetto agli anni precedenti. L’età media delle donne pugliesi al primo parto sfiora ormai i 32 anni e viene procrastinato sempre più da parte delle coppie il momento di metter su famiglia; ciò comporterà inevitabilmente l’incremento di quelle senza figli o con figlio unico.
A fronte della cronica, drammatica mancanza di politiche familiari strutturali, è stato calcolato che l’incidenza della povertà assoluta è del 9.2% per le coppie con due figli e sale al 15.45% per quelle con tre e più figli; la povertà relativa invece è del 18.8% nelle coppie con due figli e di ben il 27% per quelle con tre o più figli. Dunque in Italia, al contrario che in molti altri Paesi europei, generare figli rende più poveri.
Dal 2011 il numero dei morti pugliesi supera quello dei nati; nel 2018 il saldo naturale negativo è stato di 2000 unità circa. A questo scenario, già di per sé fosco, si aggiunge il contributo dei tanti giovani che partono dalla Puglia in cerca di studio e lavoro, facendo fruttare in altre regioni o in altri Paesi i loro talenti e gli investimenti su di essi operati. Attualmente, il tasso migratorio dei giovani tra i 18 e i 24 anni oscilla da -2 a oltre -5 per 10mila abitanti a seconda della provincia di residenza: è in atto un progressivo, ingravescente invecchiamento della popolazione, con una contemporanea riduzione della fascia di residenti effettivamente produttiva. In forza del progressivo allungamento della durata media della vita, i demografi prospettano uno scenario in cui la fascia d’età più rappresentata sarà quella degli ottantenni. Come abbiamo già denunciato in passato, stiamo diventando una terra di vecchi e di badanti.
Sarebbe molto semplice ricondurre l’attuale denatalità alla crisi economica, ma si tratterebbe di una lettura miope. Secondo molti autorevoli economisti, infatti, «la crisi in corso nasce grazie al crollo delle nascite nel mondo occidentale, iniziato intorno al 1975. Tale caduta ha provocato la flessione dello sviluppo economico, l’aumento dei costi fissi (i costi sociali, con sanità e farmaci) a causa dell’invecchiamento della popolazione» e di conseguenza «l’aumento delle imposte e il crollo del tasso di crescita del risparmio prodotto» (E. Gotti Tedeschi).
Anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, in occasione della sua relazione annuale, ha acceso i riflettori sull’invecchiamento rapido della popolazione, destinato a far saltare gli equilibri tra generazioni rendendo i conti pubblici ancora più insostenibili di quanto siano attualmente
È dunque indifferibile affrontare il problema.
Le cause del fenomeno sono evidenti da decenni: prima fra tutte la mancanza di politiche familiari strutturali, universali, di filiera; troppo spesso ridotte o (volutamente?) confuse con la lotta alla povertà e al disagio sociale.
In particolare la Puglia, come e più che le altre regioni del Mezzogiorno, presenta una tra le peggiori combinazioni in Europa di bassa occupazione femminile, bassa occupazione giovanile, bassa fecondità e alto rischio di povertà delle famiglie con figli minori.
Ma cambiare si può, come dimostrato da regioni italiane virtuose come il Trentino Alto Adige e da nazioni come la Francia o la Germania, che hanno visto risalire il numero dei loro nati, tramite oculati investimenti in politiche familiari: interventi universali di tipo fiscale, sviluppo dell’occupazione giovanile e femminile (quest’ultima erroneamente ritenuta un freno alla natalità); sviluppo di politiche attive del lavoro e di armonizzazione fra i tempi della famiglia e i tempi del lavoro, i cui strumenti devono sempre più avere come protagonisti non solo le Istituzioni, ma anche le aziende, attraverso misure di welfare aziendale e territoriale.
Soprattutto, occorre un profondo cambiamento culturale: quello di non considerare più la scelta di fare famiglia e di generare un figlio come un fatto privato, ma come contributo fondamentale al benessere di tutta la società, al bene comune. Per cui deve cambiare anche la cultura relativa agli interventi a sostegno della natalità, da pensare come concreto aiuto rivolto a tutte le famiglie che desiderino investire nel capitale umano del Paese.
Nel novembre 2018, il Governo della Regione Puglia, grazie alla spinta del Forum pugliese delle associazioni familiari, insieme alla Cisl, alle Commissioni di Pastorale Familiare e del Lavoro della Conferenza Episcopale pugliese, alla Federazione Medici di Medicina generale (Fimmg) di Bari e a oltre 40 associazioni, e su unanime mandato del Consiglio regionale, ha iniziato a confrontarsi con questo tema durante la prima Conferenza regionale sulla Famiglia, dedicata a “La sfida della denatalità e le politiche familiari”, definita dallo stesso Presidente Emiliano «la discussione politica più importante della legislatura».
Durante la due giorni sono stati affrontati, con l’aiuto di autorevolissimi esponenti del mondo accademico e delle associazioni familiari italiane, vaste tematiche come “Il lavoro abilitante”, “Il sostegno alla genitorialità”, “I servizi alla famiglia” e le “Politiche fiscali regionali e comunali family friendly”. Nei gruppi di studio si sono raccolti i contributi di decine e decine di associazioni familiari, direttamente coinvolte nelle problematiche affrontate, e diverse buone prassi già sperimentate. Successivamente, la Regione Puglia ha aperto uno spazio web per la raccolta di ulteriori criticità, proposte e buone prassi. Il percorso partecipativo si è chiuso con tre seminari di restituzione delle proposte pervenute, che adesso costituiscono il materiale per l’approntamento del nuovo Piano pluriennale regionale di Politiche Familiari.
È indispensabile, a questo punto, procedere con urgenza alla stesura e all’approvazione del Piano, coinvolgendo non solo lo staff dell’Assessorato al Welfare, ma anche gli Assessorati al Lavoro e alla Formazione, al Bilancio e alle Politiche giovanili, nonché le associazioni familiari che tanto hanno contribuito al processo partecipativo. Occorrono altresì tempi certi e risorse chiaramente dedicate.
L’approssimarsi della campagna elettorale per le Regionali della primavera 2020 può e deve permettere di lanciare un segnale politico chiaro, concreto e imprescindibile: la Regione Puglia deve dimostrare di essersi incamminata verso la costruzione organica di politiche familiari e di lotta alla denatalità, urgenza indifferibile per tutto il Paese, riconosciuta ma troppo spesso affrontata in modo ideologico o strumentale dalle forze politiche.
Potrebbe essere questo il segnale che dimostri finalmente la volontà politica di passare ai fatti e di fare sul serio. Noi lo aspettiamo.