Ddl, lettera aperta al Consiglio regionale della Puglia

Torna all’odg del Consiglio regionale pugliese domani 30 ottobre il ddl n.253/17 “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere”.

Già durante le audizioni davanti alle competenti commissioni consiliari numerose erano state le voci, competenti e qualificate, che avevano messo in evidenza le criticità del provvedimento; ad esse, nelle ultime settimane, si sono aggiunte quelle di docenti universitari, tecnici, società civile, e di esponenti di associazioni di genitori di persone  omosessuali.

Come Forum delle Associazioni Familiari di Puglia vogliamo ribadire la nostra contrarietà al ddl in oggetto, non evidentemente rispetto alla finalità generale, ma rispetto al merito e al metodo.Siamo da sempre contro ogni forma di discriminazione, riconoscendo in ogni persona umana, in qualunque momento della sua vita e in qualunque condizione, un valore da tutelare.Ma è veramente questa la finalità del ddl?

Illustri pedagogisti e scienziati dell’educazione hanno ripetutamente sottolineato che se si vuole operare contro ogni forma di discriminazione, il primo fondamentale impegno deve essere di tipo educativo, aiutando le nuove generazioni alla relazione con l’altro, diverso da sé per caratteristiche o limiti fisici, per razza, sesso o religione, e quindi a un atteggiamento inclusivo. C’è bisogno di accogliere e comprendere le singole persone, non di incasellarle in categorie – obeso, straniero, disabile, omosessuale –, queste sì discriminanti.

In questo senso, l’approccio del ddl è profondamente sbagliato, visto che individua in modo esclusivo le persone omosessuali come oggetto di  discriminazioni da prevenire (art. 1); così facendo , esso discrimina fra discriminati e prescinde da un fondamentale lavoro educativo che dovrebbe avere come protagoniste la famiglia e la scuola. In realtà (art. 3), rispetto alla scuola, il ddl prevede che la Regione promuova interventi formativi su docenti, genitori e studenti in merito alla prevenzione dell’omofobia. Questa NON è materia di competenza regionale.

Il Parlamento nazionale, approvandola  legge di riforma della scuola n. 107/2015, ha inserito nel curricolo scolastico l’obiettivo formativo della “educazione alla parità tra i sessi” come prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni. Inoltre, le Linee guida nazionali assunte dal Ministro competente dopo qualche mese, dal titolo “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione”, intendono avviare un piano di formazione del personale docente che nella sua ordinaria attività di insegnamento deve puntare al raggiungimento di quell’obiettivo. Perché quindi  la Regione Puglia vuole sostituirsi allo Stato in questa funzione che non le appartiene? E per di più, vuole farlo solo per una circoscritta categoria di discriminazioni? Non rischia, questo disegno di legge, di apparire esso stesso come un intervento che discrimina le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere rispetto a tutte le altre violenze e/o omissioni, normalmente dimenticate? Sarebbe ancora da chiedersi perché duplicare gli interventi in questo ambito, con il rischio di sovrapposizioni e confusioni in una materia che richiede chiarezza e univocità negli obiettivi e nei metodi.

D’altro canto, gli orientamenti nazionali promuovono e valorizzano il rafforzamento dell’alleanza educativa fra famiglia e scuola, confermando la primaria responsabilità educativa dei genitori, riconosciuta  dalla Costituzione e da tutti i più recenti atti del Miur. Perché  il testo del ddl regionale va nella direzione opposta, individuando nei genitori solo dei meri destinatari di presunte iniziative formative, organizzate non si sa da chi , con quali contenuti e metodi e in base a quale riconosciuto protocollo scientifico?

Questo testo dimentica inoltre che da circa 15 anni esiste l’autonomia scolastica e rischia di violarla. Decisioni in merito spettano infatti agli organi collegiali di ogni singolo istituto e non possono essere prese né dalla Regione né dall’Usr.

Il testo del ddl fa uso della contrapposizione  “sesso biologico – genere sociale”, e parla di “sesso assegnato alla nascita”. In realtà una persona nasce con un corpo sessuato, per poi interiorizzarlo psichicamente nei primi anni di vita nell’ambito di un complesso processo di elaborazione della propria identità. La locuzione “sesso assegnato alla nascita” fa riferimento aun assioma non esplicitato, secondo il quale il genere sociale risulterebbe essere una variabile indipendente rispetto al sesso biologico: è la base della cosiddetta  ideologia “gender, ”pensiero rifiutato in modo deciso e pressoché unanime dalle scienze naturali, oltre che in netto contrasto con quanto vissuto a livello sensoriale dalla stragrande maggioranza dei cittadini comuni.Ci permettiamo di ricordare che le succitate Linee Guida della legge 107 dichiarano esplicitamente che ogni riferimento all’ideologia gender deve essere escluso dalla scuola e dal suo lavoro educativo.

La genericità del ddl e la mancanza di indicazioni chiare circa le azioni da esso previste continua nell’art.5, dove si parla di formazione di personale sanitario e socio-sanitario, senza però che siano chiaramente indicati i soggetti dell’azione formativa, i contenuti e i metodi di tale azione ed i protocolli scientifici a cui essa dovrebbe far riferimento.

In realtà, tutto si chiarisce leggendo l’articolo 7 delddl,doveè scritto che al Tavolo che la Regione dovrebbe istituire per governare le azioni previste dal ddl dovrebbero sedere ben sei rappresentanti delle associazioni Lgbt, oltre a delegati del mondo sindacale e delle associazioni datoriali. E le associazioni familiari? E le associazioni di genitori e insegnanti? Non è sull’alleanza attiva fra scuola e famiglia che dovrebbe basarsi ogni azione di educazione alla relazione e al rispetto dell’altro?

La Regione in pratica “appalterebbe” alle associazioni Lgbt la gestione pratica delle azioni previste dal ddl e dei relativi finanziamenti, discriminando altri soggetti ( la famiglie, la scuola , i media, le agenzie educative, la stessa comunità ecclesiale…) fondamentali dal punto di vista educativo , nonché le associazioni delle persone omosessuali o di loro familiari che non si riconoscono nella cultura delle associazioni Lgbt.

Il ddl 253 del 2017 – ed è questa la più dolorosa osservazione dei genitori di figli omosessuali e transessuali – propone di tutelare soltanto una parte delle persone omosessuali e conidentità di genere diversa, ossia coloro che si identificano con la sigla Lgbti.  Esiste infatti un alto numero di persone omosessuali e lesbiche le quali, pur provando attrazione per lo stesso sesso, non si definisce come persona in base al proprio orientamento sessuale secondo le sopraccitate o altre sigle, e che NON  individua nell’atteggiamento omofobico della società , per fortuna limitato sia in Italia che in Puglia,  la causa prevalente del disagio vissuto.Ci sono forse omosessuali di serie A ed altri di serieB?

L’articolo 2 del ddl prevede inoltre “misure di accompagnamento in grado di supportare le persone che risultino discriminate (…) per il loro orientamento sessuale o dall’identità di genere, nella individuazione e costruzione di percorsi di formazione ed inserimento lavorativo”.
In una regione come la nostra, caratterizzata dalle continue migrazioni dei giovani alla ricerca di un posto di lavoro , perché non fare altrettanto per i nostri ragazzi e in particolare per le donne che tentano di inserirsi nel mondo del lavoro, specialmente se in epoca fertile o addirittura in gravidanza? Vogliamo far finta di non sapere quante dimissioni in bianco vengono fatte firmare dalle ragazze in procinto di essere assunte per essere utilizzate in caso di gravidanza? Non è discriminazione questa? E perché non viene sanzionata dal ddl? Evitiamo dunque che dalla discriminazione si passi al privilegio.

C’è un’ultima domanda che vorremmo porre alla politica, nel momento in cui si appresta a discutere e a votare il ddl 253. Che cosa intendete per omofobia?

Il termine nel ddlè  utilizzato in modo estremamente generico, con il rischio di lasciare ampio spazio a interpretazioni soggettive.

Se contrastare l’incitamento all’odio, le dichiarazioni di intolleranza, tutte le forme di discriminazione è obiettivo di ogni persona civile, il problema del ddl consiste nella difficoltà di precisare i confini di questo concetto: forse saranno da considerare omofobe le persone che si esprimono contro la Gpa (Gestazione per altri)? O quelle che ritengono che il matrimonio debba essere celebrato solo fra un uomo ed una donna?

È proprio la genericità del ddl che mette a rischio una sua attuazione equilibrata, democratica e rispettosa della pluralità degli orientamenti culturali.

Ce ne dà conferma la lettura dell’articolo 8,in netto contrasto con i princìpi chiaramente espressi nell’art. 21 della Costituzione Italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…”.

Se il testo del succitato art.8 del ddl regionale intende far riferimento a reati, si ricorda che essi sono chiaramente sanciti e perseguibili dal codice penale, e nel caso di riconoscimento di danni a persone offese, anche dal codice civile. Né è possibile che una legge regionale introduca “pene” che discriminerebbero i giornalisti della nostra regione dai giornalisti di altre regioni italiane.Dunque,l’attuale stesura dell’art. 8 in questione appare decisamente un “bavaglio preventivo” non solo inaccettabile, ma anche improponibile sul piano del rispetto dei princìpi democratici.

Proponiamo all’intero Consiglio regionale queste considerazioni, appellandoci alla ragione  di ciascuno perché il ddl 253717  venga bocciato, almeno nella sua forma attuale.

“Sempre genitori, sempre figli”, un percorso per accettare, rispettare, amare

Una platea attenta e interessata ha partecipato questo pomeriggio nella biblioteca “Ricchetti” di Bari alla presentazione del libro “Sempre genitori, sempre figli”, basato sui racconti autobiografici di 15 madri e padri credenti di figli omosessuali.

Sono tutte storie accomunate dal dolore iniziale di una rivelazione che costringe a fare i conti con se stessi, le proprie convinzioni e il proprio passato; ma che dopo un lungo percorso – non facile – di accompagnamento e di accettazione raggiungono l’obiettivo di un migliore rapporto tra genitori e figli, nel rispetto della dimensione più intima di questi ultimi.

All’incontro erano presenti l’autrice, la pedagogista Luisa Fressoia, e Michael Galster, presidente nazionale di Agapo (Associazione genitori e amici di persone omosessuali).

Lo scopo, come ha spiegato la professoressa Fressoia, «è sviluppare un dialogo costruttivo tra persone che la pensano diversamente». Per instaurarlo è importante – aggiunge Galster – «non vivere in funzione dell’omosessualità, non fare dell’orientamento sessuale la propria ragione d’essere, evitando inoltre lo scontro frontale». I genitori devono essere consapevoli di poter intervenire ben poco sui propri figli, ma possono «spezzarne la solitudine, che spesso è il primo sentimento che si prova in certe situazioni».

L’appuntamento, promosso dal Forum delle Associazioni Familiari di Puglia in collaborazione con Uciim Puglia, si colloca nell’ambito di una serie di attività di sensibilizzazione sul ddl antiomofobia, attualmente in discussione in Consiglio regionale, che presenta numerose criticità.

Innanzitutto partendo proprio dal presupposto dell’omofobia. «Dire che esiste un problema è il modo peggiore per affrontarlo», ha ribadito in proposito la professoressa Loredana Perla, docente di Didattica e Pedagogia speciale all’Università di Bari. Il lavoro, al contrario, deve essere prettamente educativo, «in un’ottica pedagogica alla ricerca del sé e attraverso la costruzione di un contesto inclusivo. E ciò riguarda ogni diversità, perché la diversità, qualunque essa sia, è sempre un valore», mai un limite.

Dello stesso parere la presidente di Uciim Puglia, la professoressa Lucrezia Stellacci, che si chiede, inoltre, perché in tempi di crisi la Regione Puglia voglia intervenire, anche economicamente, per formare docenti, alunni e genitori su un tema, quello della lotta alla discriminazione, su cui ha già legiferato ampiamente lo Stato attraverso “La Buona scuola” e le recentissime Linee guida del Miur.

Ddl antomofobia, limiti e criticità

Una proposta di legge nata probabilmente da buone intenzioni, ma che affronta il problema – ammesso che di problema si tratti – da un punto di vista completamente sbagliato.

È questa l’opinione condivisa sul ddl n. 253 sulle “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere”, cosiddetto antiomofobia, approvato dalla Giunta regionale nel novembre 2017 e previsto in discussione in Consiglio oggi 16 ottobre, nonostante sia stato dichiarato incostituzionale dallo stesso ufficio legislativo della Regione e abbia ricevuto il parere negativo del Corecom.

«Per toccare aspetti così delicati – dice in merito la professoressa Loredana Perla, docente di Didattica e Pedagogia speciale presso il Dipartimento di Scienze della formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari – non bisogna infatti partire dalla criticità. Piuttosto avere un approccio educativo, specie nei confronti dei giovani, sull’educazione affettiva ai sentimenti e alle emozioni; con un’apertura tale da costruire un rapporto di fiducia, in cui gli adolescenti si sentano liberi di far emergere serenamente nel dialogo con gli adulti (siano essi genitori, insegnanti o educatori) eventuali elementi problematici.

Dire che esiste un problema è il modo peggiore per affrontarlo. Tutte le teorie pedagogiche sono orientate in questo senso».

Ne è convinto anche Michael Galster, presidente nazionale dell’Agapo (Associazione genitori e amici di persone omosessuali). «I ragazzi – dice – devono uscire da una visione infantile-narcisistica-autoreferenziale e imparare a rapportarsi con chi è diverso». Siamo tutti a nostro modo diversi: chi per una caratteristica o un difetto fisico, chi per provenienza, chi per religione. «Bisogna sapersi raffrontare con l’Altro senza etichettarlo. C’è bisogno di accogliere e comprendere le singole persone, non di incasellarle in categorie – obeso, straniero, omosessuale – che discriminano».

Fondamentale nel percorso di accettazione di sé e del mondo che ci circonda è il ruolo della scuola.  «La scuola prima non dava spazio alle emozioni – prosegue la professoressa Perla -, ora invece sì. L’educazione agli affetti può attingere alla cultura, alla letteratura, alla poesia, le quali offrono mille spunti per far ragionare i ragazzi.

Esistono iniziative ministeriali lodevoli sulla formazione degli insegnanti all’educazione dell’affettività. Questa educazione si deve solo “quotidianizzare”, ribadendo il concetto che “insegnando io posso educare”.

In tal senso, come ricorda la professoressa Lucrezia Stellacci, presidente regionale dell’Uciim (Associazione nazionale docenti, dirigenti, formatori, educatori cattolici), «il Parlamento nazionale, approvando l’ultima legge di riforma della scuola (la 107 del 2015), ha inserito nel curricolo scolastico l’obiettivo formativo della “educazione alla parità tra i sessi” come prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». Inoltre, «le Linee guida nazionali assunte dal Ministro competente dopo qualche mese, dal titolo “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione” intendono per l’appunto avviare un piano di formazione del personale docente che nella sua ordinaria attività di insegnamento deve puntare al raggiungimento di quell’obiettivo, indicato nella legge 107 e poi analiticamente chiarito nelle successive Linee guida. Perché – si chiede dunque la professoressa Stellacci, interpretando un pensiero comune – la Regione Puglia vuole sostituirsi allo Stato in questa funzione che non le appartiene? E per di più, vuole farlo solo per una circoscritta categoria di discriminazioni? Non rischia, questo disegno di legge, di apparire esso stesso come un intervento che discrimina le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere rispetto a tutte le altre violenze e/o omissioni, normalmente dimenticate? Sarebbe ancora da chiedersi perché duplicare gli interventi in questo ambito, con il rischio di sovrapposizioni e confusioni in una materia che richiede chiarezza e univocità negli obiettivi e nei metodi».

Il rischio paradossalmente è «che si suscitino reazioni negative e contrapposizioni – spiega il presidente Agapo -. Se si parte dal presupposto che nelle scuole ci sia discriminazione, questa è un’implicita accusa ai ragazzi, i quali o la subiscono tacitamente, non esprimendo più se stessi o – peggio – reagiscono negativamente. Quando non è ben definito cosa è discriminazione, si può intendere che ciò riguardi anche chi ha un’opinione diversa». Anche l’Osservatorio previsto dalla legge non sarebbe «rappresentativo: non ci sono i genitori, né la scuola, né le istituzioni».

«La discriminazione va combattuta tout court – prosegue Galster -, non rispetto a un solo gruppo specifico. Tra l’altro ci sono persone che non si riconoscono nelle sigle Lgbti, persone che si vogliono relazionare con gli altri come uomini o come donne, non in base alle proprie preferenze erotiche e sessuali. Ciò non significa nascondersi, semplicemente non essere obbligati ad assumere un’identità – quelle lgbti – in cui non ci si riconosce».

Un altro limite, secondo Galster, è l’eccessiva genericità del ddl. «In formulazioni così poco definite ci si può inserire dentro tutto e il contrario di tutto». Rispetto per esempio agli interventi previsti nell’articolo 2 e atti a garantire la formazione e riqualificazione professionale e l’inserimento lavorativo, il presidente Agapo ricorda che «per fortuna le persone omosessuali hanno mediamente un successo lavorativo non inferiore agli altri».

Insomma, dire (come scritto nel ddl) che esiste il problema omofobia significa rendere clinica la questione», mentre il lavoro da fare dev’essere «squisitamente educativo», conclude la professoressa Perla.

“io sono contro ogni forma di discriminazione”, la campagna del Forum sul ddl antiomofobia

Ci abbiamo già provato con successo con la Proposta di legge Borraccino sull’aborto, poi definitivamente bocciata dal Consiglio regionale pugliese.

Ora il Forum regionale delle associazioni familiari, le realtà che ne fanno parte, amici e simpatizzanti hanno deciso di far sentire di nuovo la loro voce con un’altra campagna mail e social contro il ddl antiomofobia, per evidenziarne i numerosi limiti e aspetti di incostituzionalità, ma anche per dire che “io sono contro ogni forma di discriminazione”.

Contro quella che genera la continua migrazione al Nord e all’estero dei giovani alla ricerca di un lavoro dignitoso; contro quella nei confronti delle persone portatrici di disabilità, degli immigrati, delle donne…

Perché non prevedere anche per loro “misure di accompagnamento […] nella individuazione e costruzione di percorsi di formazione ed inserimento lavorativo” (come recita l’articolo 2 del ddl), evitando che dalla discriminazione si passi al privilegio?

Rivendichiamo inoltre con forza l’autonomia scolastica e la primaria responsabilità educativa dei genitori nei confronti dei propri figli, così come prevista dalla Costituzione, entrambe completamente ignorate nell’articolo 3, con cui si intendono istituire generici corsi di aggiornamento per gli insegnanti, gli alunni e le loro famiglie. Ci chiediamo: chi dovrebbe tenere questi corsi? In base a quali criteri saranno individuati enti e associazioni idonei? Quali contenuti saranno proposti e veicolati? In base a quale impostazione culturale e scientifica?

Questo ddl si occupa di questioni che meritano profondo rispetto, delicatezza, competenza e onestà intellettuale e che richiedono attenzione, approfondimento, superamento di vecchi e nuovi stereotipi: ad esempio quello per cui la principale problematica della persona omosessuale sia l’omofobia, senza tener presente che, se pure presente nella società, non è esclusivamente da essa che dipende quel profondo disagio che non di rado si manifesta nella persona omosessuale.

Ogni caso di discriminazione è apertamente da combattere e condannare – ne siamo convinti e lo ribadiamo -, ma evitiamo di farlo in maniera superficiale e ideologica.

La campagna, partita lunedì scorso, andrà avanti con l’invio delle mail al presidente Emiliano, agli assessori e ai consiglieri di tutti gli schieramenti politici fino a martedì prossimo 16 ottobre, giorno in cui il ddl sarà in discussione in Consiglio regionale. Con la nostra iniziativa e le nostre argomentazioni intendiamo sensibilizzarli e convincerli a revocare il ddl, o almeno a riscriverne le parti principali.

Ancora sul ddl antiomofobia: «Ogni discriminazione è da combattere, evitiamo di farlo in maniera superficiale e ideologica»

Ieri il ddl n. 253 del 14/11/2017 sulle “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere” è stato approvato a maggioranza nella seduta congiunta di III e VI commissione consiliare. Il Forum, come già fatto in precedenza, ribadisce il suo NO al provvedimento, almeno nella sua forma attuale.

Sì, certo, siamo contro ogni forma di discriminazione: nei confronti delle persone omo o transessuali, come nei confronti delle persone portatrici di disabilità, degli immigrati,delle persone di colore, delle donne…

  1. E allora perché il testo del ddl 253/17 si riferisce unicamente alle persone omosessuali? Forse un disabile è meno discriminato? Soprattutto quando, dopo aver compiuto la maggiore età, in pratica scompare dalla vita civile?

Siamo contro la continua migrazione dei nostri giovani alla ricerca di un lavoro dignitoso nelle regioni del Nord Italia o in altri Paesi, al cui Pil ed al cui erario contribuiscono dopo un faticoso processo formativo supportato da risorse locali.

E allora perché l’articolo 2 del cosiddetto ddl antiomofobia prevede “misure di accompagnamento in grado di supportare le persone che risultino discriminate (…) per il loro orientamento sessuale o dall’identità di genere, nella individuazione e costruzione di percorsi di formazione ed inserimento lavorativo”?
Perché non fare altrettanto per i nostri giovani e in particolare per le donne che tentano di inserirsi nel mondo del lavoro, specialmente se in epoca fertile o addirittura in gravidanza? Vogliamo far finta di non sapere quante dimissioni in bianco vengono fatte firmare dalle ragazze in procinto di essere assunte per essere utilizzate in caso di gravidanza? Non è discriminazione questa? E perché non viene sanzionata dal ddl?
Evitiamo che dalla discriminazione si passi al privilegio.

  1. Nell’articolo 3, che prevede corsi di aggiornamento antiomofobia nelle scuole per studenti, docenti e famiglie, non c’è traccia della salvaguardia della primaria responsabilità educativa dei genitori nei confronti dei propri figli, prevista dalla Costituzione, e della comune costruzione di buone prassi educative fra scuola e famiglia, così come già previsto dalle Linee guida nazionali del Miur “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione” (predisposte dall’allora ministro Fedeli) e dalla Legge 107/2015 sulla Buona scuola.

“Perché la Regione Puglia vuole sostituirsi allo Stato in questa funzione che non le appartiene?” (L. Stellacci).
Insomma, se gli orientamenti nazionali promuovono e valorizzano il rafforzamento dell’alleanza fra le due principali agenzie educative, famiglia e scuola, il testo del ddl regionale va nella direzione opposta.

Ci chiediamo inoltre: chi dovrebbe organizzare e tenere questi corsi? In base a quali criteri saranno individuati enti e associazioni idonei? Quali contenuti saranno proposti e veicolati? In base a quale impostazione culturale e scientifica? Non basta avere assicurazioni più o meno generiche sull’espunzione dell’ideologia gender dal testo del ddl. Già ora in esso non esiste alcun esplicito riferimento , ma nulla di chiaro ci viene detto circa i contenuti che verrebbero proposti nelle scuole.

Questo testo dimentica che da circa 15 anni esiste l’autonomia scolastica e che questo provvedimento rischia di violarla. Decisioni in merito spettano infatti agli organi collegiali di ogni singolo istituto e non possono essere prese né dalla Regione né dall’Usr.

  1. La Puglia non è una Regione particolarmente omofoba, come abbiamo dimostrato , numeri alla mano, in più occasioni. La stessa scelta di un Presidente dichiaratamente omosessuale che l’ha governata per ben 10 anni evidenzia chiaramente l’assenza, o almeno la limitata presenza di pregiudizi omofobici nella popolazione pugliese.
  2. Infine, questo ddl si occupa di questioni che meritano profondo rispetto, delicatezza, competenza e onestà intellettuale e che richiedono attenzione, approfondimento, superamento di vecchi e nuovi stereotipi: ad esempio quello per cui la principale problematica della persona omosessuale sia l’omofobia, senza tener presente che, se pure essa è presente nella società, non è esclusivamente da essa che dipende quel profondo disagio che non di rado è presente nella persona omosessuale.

Ogni caso di discriminazione è apertamente da combattere e condannare, ma evitiamo di farlo in maniera superficiale e ideologica.

Invitiamo pertanto il Consiglio regionale a revocare il cosiddetto ddl antiomofobia, o almeno a riscriverne le parti principali secondo le indicazioni che abbiamo espresso reiteratamente in questi mesi.