Set 6, 2018 | Approfondimenti
Una legge che opera in difformità rispetto ai princìpi fondamentali dello Stato e incorre in palesi vizi di illegittimità costituzionale.
Questo è per il Forum delle Famiglie di Puglia il ddl n. 253 del 14/11/2017 sulle “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere” approvato dalla Giunta regionale. È un’opinione già espressa con chiarezza durante l’audizione in Commissione consiliare il 18 gennaio scorso.
Il testo si limita infatti a contrastare e sanzionare solo le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, escludendo tutte le altre numerose ed egualmente rilevanti forme di discriminazione, violando così i princìpi di eguaglianza e imparzialità sanciti dalla Costituzione.
Non capiamo il motivo per cui, per esempio, gli interventi della Regione previsti nell’articolo 2 e atti a garantire la formazione e riqualificazione professionale e l’inserimento lavorativo, non debbano essere indirizzati anche in favore dei ragazzi che vivono situazioni di marginalità sociale; dei disabili che dopo i 18 anni scompaiono dalla vita civile per le difficoltà che le loro famiglie incontrano; delle donne costrette a dimettersi in caso di maternità; dei giovani pugliesi che devono lasciare la loro terra per cercare un’occupazione altrove. Cosa impedisce al Governo regionale di proporre un’azione coordinata contro ogni forma di discriminazione anziché un testo parziale che trasforma un diritto di tutti in un privilegio per qualcuno?
Nell’articolo 3, inoltre, che prevede corsi di aggiornamento antiomofobia nelle scuole per studenti, docenti e famiglie, non c’è traccia della salvaguardia della primaria responsabilità educativa dei genitori nei confronti dei propri figli, sempre prevista dalla Costituzione, e della comune costruzione di buone prassi educative fra scuola e famiglia, così come già previsto dalle Linee guida nazionali del Miur “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione” e dalla Legge 107/2015 sulla Buona scuola. Insomma, se gli orientamenti nazionali promuovono e valorizzano il rafforzamento dell’alleanza fra le due principali agenzie educative, famiglia e scuola, il testo del ddl regionale va nella direzione opposta. Dunque ci chiediamo: chi dovrebbe organizzare e tenere questi corsi? In base a quali criteri saranno individuati enti e associazioni idonei? Quali contenuti saranno proposti e veicolati?
Infine lasciano molto perplessi le misure in materia di informazione e comunicazione contenute nell’articolo 8, che prevede il costante controllo del Corecom sull’eventuale presenza di contenuti discriminatori nella programmazione televisiva e radiofonica, anche commerciale e pubblicitaria. Si corre infatti il rischio di violare l’articolo 21 della Costituzione, che garantisce a tutti la “libertà di pensiero e di parola”, e che al comma 2 precisa come la stampa non possa “essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Insomma, a una lettura attenta sembra un ddl viziato da un macroscopico “eccesso di potere“, che gli fa oltrepassare l’ambito della potestà legislativa regionale consentito dalla Carta Costituzionale e dalle leggi statali.
Set 6, 2018 | Approfondimenti
In merito al ddl n. 253 del 14/11/2017 sulle “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere”, approvato dalla Giunta regionale e in discussione oggi in III Commissione consiliare, di seguito proponiamo il contributo dell’Uciim (Associazione nazionale docenti, dirigenti, formatori, educatori cattolici) Puglia, a firma della presidente Lucrezia Stellacci.
«Perché la Regione insiste nel voler approvare il Disegno di legge n.253/2017 “contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”?
Anche se il proposito, esplicitato in premessa del disegno di legge regionale n. 253 (nel seguito : Ddlr), di volersi allineare alla “legislazione nazionale ed europea in materia di diritti fondamentali delle persone, in attuazione dei princìpi costituzionali di uguaglianza formale e sostanziale e pieno sviluppo della persona umana…” è lodevole, atteso che il grado di civiltà di un paese si misuri sulla capacità di combattere le discriminazioni, sotto qualunque forma esse si presentino,la rapida conversione operata nell’articolato del Ddlr ci ha molto delusi, oltre a interrogarci sulle ragioni di interesse pubblico che avrebbero convinto la Giunta regionale a ipotizzare un simile intervento legislativo come necessario e improcrastinabile per i cittadini pugliesi.
Evidentemente i vertici politici regionali avvertono la presenza nella popolazione pugliese di pregiudizi omofobici che vanno ben al di là della comune percezione, che, al contrario, non fa registrare allarmismi di alcun genere al riguardo, a differenza di altre categorie di fragilità, spesso denunciate e altrettanto spesso ignorate.
Prevedere risorse pubbliche regionali da dedicare alla promozione, organizzazione e sostegno di attività di formazione per gli insegnanti e per tutto il personale scolastico delle scuole di ogni ordine e grado, estensibili anche ai genitori e agli studenti stessi, come dichiara l’art.3 del Ddlr,significa legiferare in materie che non rientrano nella competenza della Regione, bensì dello Stato.
Infatti, il Parlamento nazionale (a seguito della ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, che nell’art.14 assegna alla scuola un ruolo fondamentale), approvando l’ultima legge di riforma della Scuola, legge n.107/2015, ha inserito nel curricolo scolastico l’obiettivo formativo della “educazione alla parità tra i sessi” come prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni.
Le Linee Guida Nazionali assunte dal Ministro competente dopo qualche mese, dal titolo “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione” intendono per l’appunto avviare un piano di formazione del personale docente che nella sua ordinaria attività di insegnamento deve puntare al raggiungimento di quell’obiettivo, indicato nella legge 107 e poi analiticamente chiarito nelle successive Linee guida.
Perché la Regione Puglia vuole sostituirsi allo Stato in questa funzione che non le appartiene? E per di più, vuole farlo solo per una circoscritta categoria di discriminazioni? Non rischia, questo disegno di legge, di apparire esso stesso come un intervento che discrimina le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, rispetto a tutte le altre violenze e/o omissioni, normalmente dimenticate?
Sarebbe ancora da chiedersi perché duplicare gli interventi in questo ambito, con il rischio di sovrapposizioni e confusioni in una materia così delicata e complessa che richiede chiarezza e univocità negli obiettivi e nei metodi. La conseguenza più probabile potrebbe essere quella di un ennesimo inutile sperpero di risorse pubbliche.»
Mar 19, 2018 | Approfondimenti
L’Unione Cattolica Stampa Italiana di Puglia evidenzia che la stesura dell’art. 8 del ddl della Giunta Regionale Pugliese contro l’omofobia e la transfobia è in netto contrasto con i principi costituzionali chiaramente espressi nell’art. 21 della Costituzione Italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…”.
Se il testo del succitato art.8 del ddl regionale intende far riferimento a reati, si ricorda che essi sono chiaramente sanciti e perseguibili dal codice penale, e nel caso di riconoscimento di danni a persone offese, anche dal codice civile. Né è possibile che una legge regionale introduca “pene” che discriminerebbero i giornalisti della nostra regione dai giornalisti di altre regioni italiane.
L’attuale stesura dell’art. 8 in questione appare decisamente un “bavaglio preventivo” non solo inaccettabile, ma anche improponibile sul piano del rispetto dei princìpi democratici.
Mar 18, 2018 | Approfondimenti
Di seguito il testo dell’audizione della Cisl Puglia dello scorso 15 marzo relativamente al ddl n.253 del 14/11/2017 “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”.
Nel merito del DDL in questione si ritiene preliminarmente opportuno osservare come le norme che si vogliono dettare sulla specifica materia, a giudizio della scrivente, vadano ben oltre la potestà legislativa regionale.
Nel caso di specie, da un esame delle norme del precitato ddl, emergerebbe un quadro normativo che mostra elementi di incertezza intervenendo su aspetti demandati alla competenza esclusiva dello Stato. In particolare, con il ddl in esame si interviene sui c.d. “principi fondamentali” rispetto ai quali non può intervenire da parte delle Regioni alcuna normativa concorrente. Diversi sono gli articoli del ddl che entrerebbero in contrasto con norme costituzionali e leggi statali, che si ispirano appunto ai cosiddetti “principi fondamentali”.
Ad esempio:
1. All’articolo 3 del ddl in questione (che tratta di Istruzione) si interviene nella specifica competenza statale, la quale con riferimento all’art.137 del D.Lvo n.112/98, satuisce che “restano allo Stato i compiti e le funzioni concernenti i
criteri e i parametri per l’organizzazione della rete scolastica”. Oltre che ad apparire in evidente contrasto con il principio fondamentale contenuto nell’art.3 del DPR n.235/2007, che disciplina il “Patto educativo di corresponsabilità”, il quale a riguardo recita: “….è richiesta da parte dei genitori e degli studenti la sottoscrizione di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire diritti e doveri nel rapporto tra l’istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”. Ai sensi delle richiamate discipline statali le norme degli articoli 1 e 2 del DDL non possono essere estese, così come si vorrebbe anche nei confronti dei genitori degli studenti.
Occorre, peraltro, far presente sull’argomento che il principio della non discriminazione è ampiamente contemplato nelle norme del DPR n. 249/1998, che definisce lo “Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria”. Tanto considerato, non può prevedersi, come previsto all’art.3 del ddl in oggetto, ipotesi di attività che integrano o modificano quanto già previsto dalla citata disciplina statale e da quanto è proprio dell’autonoma “convinzione” dei genitori in concerto con gli studenti e i singoli istituti scolastici nell’attuazione del cosiddetto “Patto di Corresponsabilità”.
2. Proprio a proposito si richiama quanto viene indicato nelle “Linee Guida” del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, relativamente all’attuazione della specifica disciplina di cui all’art.1, comma 16 della Legge n.107/2015 che recita: “ Il piano triennale dell’ offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’ educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori”. Le Linee Guida così chiariscono che: “Nell’ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire, fondamentale aspetto riveste l’educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione e la promozione ad ogni
livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione. Si ribadisce, quindi, che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né le “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo”.
Le Linee Guida, nel rilevare, tra l’altro, la rilevanza del “Patto Educativo di Corresponsabilità” tra genitori, studenti e scuola, rappresentano che : “è compito fondamentale affidato ai genitori il partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e formativo dei propri figli esercitando il diritto-dovere contemplato nell’ art. 30 della Costituzione.” e che “…le Famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano Triennale dell’Offerta Formativa”.
All’art. 6, comma 4, che affida alla Regione la possibilità di costituirsi “parte civile” nei procedimenti penali per reati commessi nei confronti delle persone a motivo del loro orientamento sessuale, identità di genere o condizione intersessuale, si palesa un confitto normativo con quanto previsto dall’art.117 della Cost., comma2, che attribuisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione e norme processuali. A tal proposito, si ritiene opportuno valutare anche quanto dettato dall’art. 74 del Codice di Procedura penale (legittimazione all’azione civile) che statuisce quanto segue: “L’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185 codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali nei confronti dell’imputato e del responsabile civile”. Nel corso degli anni la possibilità e la
legittimazione a costituirsi parte civile da parte di altri soggetti o categorie di soggetti è sempre intervenuta con disposizioni contenute in leggi statali. Di conseguenza le Regioni non possono attribuirsi motu propriu una tale
legittimazione.
3. All’art.7 si prevede l’istituzione di un “tavolo tecnico regionale” sulle discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere delle vittime, la cui composizione (con 6 rappresentanti
solo delle Associazioni LGBTI) esclude la partecipazione di altre Associazioni che si occupano di inclusione sociale e che contribuirebbero ad una valutazione equilibrata delle ipotesi di discriminazioni.
4. All’art.8 con il quale si introducono “Misure in materia di informazione e comunicazione”, si rischia addirittura di mettere in discussione il principio del diritto costituzionalmente garantito della “libera manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. In particolare, il comma 2 del citato art.8 attribuendo al CORECOM una funzione di monitoraggio dei contenuti della programmazione televisiva e radiofonica regionale e locale, nonché dei messaggi commerciali e pubblicitari, rischia di incorrere in vari vizi di illegittimità, primo fra tutti appunto la violazione dell’articolo 21 della Costituzione sulla “Libertà di Pensiero e di Parola”, in ragione della quale “la Stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. A questo proposito, si richiamano alla comune valutazione i contenuti dell’art. 3 e 12 del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, n.177 del 31 luglio 2005.
In conclusione, a giudizio della scrivente sul ddl in esame vanno operati approfondimenti di merito sul piano tecnico e giuridico, anche in un confronto interistituzionale, per evitare di intervenire legislativamente su aspetti della specifica materia di esclusiva competenza statale, con la conseguenza di ingenerare conflitti di interesse, dettati da vizi di “Eccesso di Potere”, incorrendo in inevitabili impugnative innanzi alla corte Costituzionale.
Mar 16, 2018 | Approfondimenti
Ieri, 15 marzo, la Federazione regionale pugliese dei Consultori familiari di ispirazione cristiana (CFC Puglia) è stata audita in III Commissione regionale in merito al DdL n. 253 del 14.11.2017 “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”.
Di seguito il testo integrale delle osservazioni.
Il disegno di legge n. 253 del 14.11.2017 prevede per le attività ivi previste una copertura di € 50.000,00 per il corrente anno nonché altra provvista economica per gli esercizi finanziari successivi.
Letto il testo normativo, preliminarmente e ancor prima di affrontare il merito delle questioni poste dal testo di legge oggetto di audizione, ci si interroga:
a) su quale sia la platea di cittadini pugliesi interessati dall’intervento normativo richiesto con il presente d.d.l. regionale;
b) se la destinazione di queste somme pubbliche possa trovare una finalizzazione diversa per soddisfare un numero di cittadini maggiore e corrispondendo a reali bisogni della collettività.
L’interrogativo nasce dal fatto che il testo di legge sembra preoccuparsi di prevedere norme contro la discriminazione e le violenze perpetrate nei confronti di alcune identità di “genere” piuttosto che nei confronti di altre, quasi come se l’appartenenza ad un genere piuttosto che ad un altro, sia nel nostro ordinamento, sia esso statale che regionale, oggetto di discriminazione.
Si può affermare, infatti, che a normativa vigente nessuna norma prevede limitazioni o divieti per cittadini in considerazione della loro appartenenza sessuale. Al contrario, la nostra Costituzione e le norme applicative garantiscono a qualsiasi cittadino di poter liberamente vivere la propria vita, sia essa privata che pubblica, di poter accedere, al di là della propria identità sessuale: a tutti sono assicurati pari diritti e riconosciuti uguali doveri.
Quindi ci si torna a chiedere a chi interessa questo testo di legge proposto. Quali reali interessi vuole garantire?
Se non vi sono reali ostacoli discriminatori, quale è il vero fine ultimo che si vuole perseguire.
Evidentemente quello della diffusione di teorie sul “genere” attraverso attività di formazione, di sostegno e di rimozione di ostacoli, lo si ripete inesistenti.
La mia più che ventennale personale esperienza, come quella di tutti gli operatori dei consultori aderenti a questa Federazione che rappresento, di formazione nelle Scuole di ogni ordine e grado sulla educazione affettiva e sessuale, competenza assegnata dal Legislatore ai Consultori Familiari (L.N. 405/1975 e L.R.30/1977), parla a favore di una non discriminazione in relazione all’orientamento sessuale.
Il linguaggio discriminante e violento determinato dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere non è assolutamente presente nelle giovani generazioni né nella classe docente. Educatori ed educandi concordano nel fatto che la dignità della persona è prima del suo orientamento sessuale, la persona ha una dignità al di là del suo orientamento sessuale.
Ma vediamo cosa dice la nostra Carta costituzionale.
L’art. 3 afferma che:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
È la nostra stessa Costituzione a prevederlo, quella stessa che all’art. 29 riconosce la famiglia quale:
“… società naturale fondata sul matrimonio …”.
È interessante notare come la nostra Carta costituzionale, nonostante all’interno dell’art. 2 “…riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità …”, ha ritenuto di dover dedicare alla famiglia, quale più tipica tra le formazioni sociali, un articolo specifico.
All’interno dell’Assemblea Costituente, infatti, si sviluppò un grande dibattito intorno alla famiglia e in particolare se la famiglia dovesse essere inserita all’interno delle formazioni sociali intese quale luogo in cui la personalità del soggetto può crescere, svilupparsi e realizzarsi.
Le formazioni sociali, lo ricordiamo, sono: i partiti, i sindacati, le associazioni e le famiglie religiose ovvero gli ordini religiosi; tali formazioni, tuttavia, non hanno come fine la procreazione e il mantenimento della specie fondato sull’amore che unisce i coniugi.
All’esito dell’ampio dibattito in Costituente si scelse di tenere distinta la famiglia quale “… società naturale fondata sul matrimonio …” dalle altre formazioni sociali, in quanto: “… Dichiarando che la famiglia è una società naturale si intende stabilire che la famiglia ha una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte a una realtà che non può menomare né mutare” (Aldo Moro); non solo, “… Con l’espressione ‘società naturale’ si intende un ordinamento di diritto naturale che esige una costituzione e una finalità secondo il tipo di organizzazione familiare” (Giuseppe La Pira).
La famiglia, dunque, affonda le sue radici nel diritto naturale.
Se così è, ci si chiede, ancora, quale sia la platea dei portatori di interessi e quale sia la percentuale dei cittadini pugliesi coinvolta in questo disegno di legge.
Difatti, stando alle statistiche possiamo notare che i matrimoni in Italia sono stati nel 2015 n. 194.377, tendenza in aumento. L’aumento dei matrimoni sembra proseguire e rafforzarsi anche nel 2016. I dati provvisori riferiti al periodo gennaio-giugno 2016 mostrano 3.645 celebrazioni in più rispetto allo stesso periodo del 2015.
Immaginando che il dato appena riportato sia rimasto costante negli anni successivi, possiamo rilevare come le unioni civili, che nei primi otto mesi del 2017 sono stati pari a n. 2.802, corrispondano a circa il 1,4% dei matrimoni celebrati. Questo dato costituisce una proiezione su base nazionale. Di fatto, rapportato i dati su base regionale, i numeri diventano ancora più trascurabili.
Per effetto di quanto sopra e considerato che la platea dei soggetti interessati ha numeri assai più importanti, perché non destinare queste stesse risorse economiche ad azioni a sostegno della famiglia con azioni concrete e mirate a favore di nuclei famigliari in difficoltà (economiche, lavorative, relazionali), azioni a sostegno delle nascite e con sussidi per ogni figlio come previsto dal nostro Statuto Regionale all’art. 5.
In questo caso ci sarebbero ricadute positive a favore dei cittadini pugliesi e un ritorno economico “moltiplicato” sul territorio regionale.
I DATI STATSTICI raccolti annualmente dalla Federazione Consultori CFC Puglia rispetto all’attività svolta da n. 18 consultori sparsi sul territorio Regionale di Puglia parlano chiaro:
Nel 2016 su 8.721 prestazioni consulenziali ben 7.457 prestazioni sono state richieste per “DISAGIO E DIFFICOLTÀ NELLE RELAZIONI FAMILIARI”. E di queste 1.084 sono state rivolte ad Adolescenti.
Considerato che il numero dei Consultori ASL pugliesi è di 145 consultori (aggiornamento al 2017), presumibilmente il dato andrebbe moltiplicato per 8 senza trascurare che al servizio accedono solo coloro che hanno bisogno di prestazioni specialistiche.
In conclusione, per le ragioni sopra esposte, si ritiene di dover concludere per il ritiro del testo o in subordine per apportare al testo del DDL in esame, le modifiche di merito di seguito riportate:
art.1 – Principi e finalità-
Eliminare 1 e 2 comma.
3 comma: modificare il comma eliminando le parole da “determinata dall’orientamento” a “intersessuale” e inserendo le parole “per garantire alle persone e alla famiglia la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nonché prevenire, eliminare e ridurre le condizioni di bisogno e di disagio individuale e famigliare.
4 comma: modificare il comma eliminando le parole da “per motivi” a “intersessuale”.
art.2 – Interventi in materia di politiche del lavoro, formazione e aggiornamento professionale e
integrazione sociale –
Eliminare perché le competenze ivi riportate esulano da quelle Regionali, trattasi infatti di competenze nazionali.
In subordine
1 comma: si chiede l’abrogazione di tutto il I periodo dell’articolo in oggetto e con riferimento al II periodo eliminare le parole da “supportare le persone” a “lavorativo” e inserire le parole di cui all’art. 1 “garantire alle persone e alla famiglia la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nonché prevedere l’inserimento lavorativo”.
Eliminare 2 e 3 comma.
Poiché, come detto in premessa, non si ravvedono norme vigenti che discriminano in base all’orientamento sessuale.
Art. 3 – Istruzione –
Eliminare l’articolo poiché le competenze richiamate appartengono allo Stato che ha già finanziato dette iniziative per diversi milioni di euro. In particolare il richiamo va all’art. 137 del DL n. 112/98 e all’art. 3 del DPR n.235/2007 che disciplina il c.d. ”Patto di corresponsabilità educativa”. Non è pensabile una educazione e formazione che esuli dalla collaborazione Scuola-Famiglia essendo la famiglia il primo soggetto educante. Ogni essere umano viene educato in primis all’interno delle relazioni familiari e nella quotidianità della vita.
Art. 4 – Promozione di eventi culturali –
1 comma: modificare eliminando le parole da “al rispetto dell‘orientamento” a “ intersex” e inserire le parole “per garantire alle persone e alla famiglia la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nonché prevenire, eliminare e ridurre le condizioni di bisogno e di disagio individuale e famigliare.
Art. 5 – Interventi in materia socio-assistenziale e socio-sanitaria –
1 comma: modificare il comma eliminando le parole “in favore delle persone omosessuali” fino a “famiglie” e inserire le parole “per garantire alle persone e alla famiglia la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nonché prevenire, eliminare e ridurre le condizioni di bisogno e di disagio individuale e famigliare.
2 comma: eliminare le parole “delle persone LGBT” e inserire “di uomini, donne e minori”.
Art. 6 – Misure di contrasto alla discriminazione e alla violenza e di sostegno alle vittime –
1 comma: eliminare le parole da “commesse” fino a “intersessuale” e inserire le parole “per garantire alle persone e alla famiglia la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nonché prevenire, eliminare e ridurre le condizioni di bisogno e di disagio individuale e famigliare.
2 comma: eliminare le parole da “in ragione dell’orientamento sessuale” a “intersessuale” e inserire le parole “di cui al primo comma”.
4 comma: eliminare il comma poiché la costituzione in giudizio della Regione può avvenire per tutelare interessi propri e la sua immagine non per tutelare interessi privati che possono essere soddisfatti attraverso gli strumenti giudiziari riconosciuti dal nostro ordinamento giuridico a favore dei soggetti lesi.
5 comma: eliminare le parole “determinate dall’ orientamento sessuale o dall’identità di genere” e inserire le parole “per garantire alle persone e alla famiglia la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nonché prevenire, eliminare e ridurre le condizioni di bisogno e di disagio individuale e famigliare”.
Art. 7 – Tavolo tecnico regionale sulle discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento
sessuale o dall’identità di genere delle vittime”
1 comma: eliminare le parole “determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere” e inserire le parole “di cui al comma 5 art.6”
2 comma: alla lettera b) eliminare le associazioni LGBT e le parole “determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”
eliminare la lettera d)
4 comma lettera b): eliminare le parole da “motivate” a “genere”
lettera c): eliminare le parole da “dovuti” a “genere”
lettera d): eliminare
Art. 8 – Misure in materia di informazione e comunicazione –
Eliminare l’articolo poiché le competenze in materia di comunicazione sono definite da norme statali.
In considerazione delle modifiche proposte si chiede in ultimo di modificare il testo del DdL in” Norme a tutela della qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza”.
Federazione Regionale CFC Puglia-Onlus
Il Presidente
Michela di Gennaro